Ridere in faccia ai potenti (farsi piccoli) Matteo 11,2-11 III Avvento anno A

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foto Crocetta neve

Ridere in faccia ai potenti (farsi piccoli)

(Matteo 11,2-11)

III Avvento anno A

 

Poi il deserto viene chiuso fuori da una cella, la libertà gridata in faccia al mondo rimane annodata alla gola e le sicurezze vengono spazzate via da un grumo di domande. Cosa resta di Giovanni il Battista? La vita si è divertita con lui, gli ha confezionato un finale cinico e beffardo, è andata a colpire con esattezza chirurgica, lo ha derubato di tutto quello che aveva costruito in una vita, si è presa gioco, ha staccato l’identità al profeta un pezzo per volta, ne ha tratteggiato una caricatura, l’uomo che impauriva le folle è diventato un agnello ammansito che elemosina speranza dai suoi discepoli. C’è genialità nel potere, ci sono cose che ai potenti riescono sempre, derubare le persone della propria unicità è una di queste specialità.

Succede e succederà. E che Giovanni ormai sia un morto che respira lo sanno un po’ tutti. Morirà nel cuore di una festa, morirà per intrighi di palazzo: al potere certe cose riescono sempre bene. Così si muovono le cose, così le facciamo muovere noi, così le faceva muovere a modo suo anche il Battista, che potente lo è stato, la vita è esercizio di potere. Mascherato, magari, ma sempre potere. Convincere altri a darci fiducia e punire chi si oppone, il mondo si regge su questo. Se hai fegato e carisma sei un potente, se non ne hai ma vuoi sopravvivere puoi farti furbo e diventare suddito del potente giusto. Così si muove il mondo, così si muoverà. Sempre e per sempre.

Poi però succede che il gioco si inceppa, si trova un potente più potente, si trova qualcuno che pone fine alla guerra, si è costretti alla resa. Si chiama fallimento, e può essere una gran cosa.

Ecco se c’è una cosa che mi sembra saggia da imparare credo che sia quella di farsi trovare pronti nel momento esatto della sconfitta, quando il potere ci abbandona, quando diventiamo dipendenti dagli altri, quando ci mettono in carcere, quando ce la fanno pagare o, molto più semplicemente, quando ci ammaliamo e dipendiamo da tutti, insomma quando perdiamo potere. Il vangelo è una scuola per perdere potere e ritrovare umanità. Farsi piccoli insomma (ma imparando a ridere in faccia ai potenti).

Bisogna rimanere attenti e aperti alla vita, per deridere il potere bisogna continuare a bussare alla porta del proprio sogno. Come Battista, che continua a chiedere notizie di Gesù. E per sogno non intendo un ideale utopico ma la propria ossessione, il cuore della nostra vera identità, ciò che ci ha preso testa cuore, il legame senza il quale saremmo morti. Davvero morti. Quello che rimane quando tutto fallisce. Mi sembra miracoloso Giovanni, e sembra chiaro che per lui il legame vitale è stato il Messia: invece di chiudersi a riccio e di provare a trovare strategie buone per uscire dal carcere Giovanni non molla, continua a chiedere di Lui. Puoi metterlo in carcere il profeta ma se è un vero profeta lui continua a vivere per quello che ha vissuto da sempre. E mentre credo di averlo disarmato una risata fragorosa sale dal carcere.

Il Battista comprende, nell’attimo esatto in cui non può più esercitare ruoli che non è il potere a farci grandi ma la nostra capacità di fedeltà a ciò che ci ha preso il cuore. Nel carcere Giovanni ha perso quasi tutto, rimane qualcosa di piccolo ma di invincibile, rimane l’attesa del Messia, rimane anche lì, anche lontano dalla scena, soprattutto lì, quello è davvero il cuore della vita.

Cosa resta quando tutto manca? È importante scoprirlo perché il potere fin lì non può arrivare, non ci riesce, e noi possiamo farci piccoli, rifugiarci nel nostro amore, e salvarci. Il potere al massimo può ucciderci ma non può strapparci dalla nostra identitaria ossessione. Scoprire quale sia la nostra è un bell’esercizio, e non è mai finito, fino a un istante prima di morire.

Il potere si scaglia sul Battista ma del profeta può solo far sue solo le reliquie di un ruolo: puoi privarlo delle insegne del profeta potente, scippargli il deserto, ma niente, nemmeno da morto riesci a strappargli ciò che è diventata la sua carne e il suo Spirito. L’attesa del Messia. Si può resistere all’arroganza del potere imparando a diventare la Parola che ascoltiamo. Serve cocciutaggine.

Gesù risponde alla domanda. Ed è quel suo modo di rispondere a rassicurare il Battista perché quello che Gesù fa è: danzare contro il potere, canta un elenco di cose che i potenti non possono fare, non riescono, non vogliono fare. Un canto che è derisione del potente (e in verità già sua epigrafe per la croce). Ma il Battista capisce, adesso può capire, quello che verrà dopo di lui non è il potente che taglia alla radice la vita ma l’antidoto definitivo ad ogni potere, ad ogni abuso di potere.

Così ride in faccia ai potenti Gesù “I ciechi riacquistano la vista”…

Regalando occhi nuovi mentre il potere prevede solo cieca obbedienza.

Regalando cammini inediti mentre i potenti pretendono marce ordinate.

Regalando spazio per tutti quando i poteri inventano nuove lebbre ogni giorno (per permettere ai poveri di incolpare altri poveri).

 Regalando parole e suoni da ascoltare mentre i potenti fanno rumore.

Regalando seconde, terze, infinite possibilità di rinascita mentre il potente ordina la morte degli oppositori.

Parlando con i poveri e annunciando loro la buona notizia mentre il potente i poveri li illude, li conta, li usa.

Diventano scandalo al potente perché non può esserci Vangelo senza libertà.

Il Battista capisce, riconosce il suono, comprende benissimo che non verrà il Messia a toglierlo dal carcere, a rimetterlo in libertà perché lui libero lo è già. Ha imparato un giorno alla volta, prima, nel deserto quando è riuscito a rimanere fedele a se stesso e a Dio e non si è fatto illudere dai venti del potere. Ha imparato stando fuori, lontano dai palazzi, lontano dai vestiti del ruolo. Ma ha capito, ha capito davvero solo lì, in carcere. Ha capito che non aveva bisogno di essere liberato perché il piccolo Giovanni era ormai libero per sempre.

E una risata sale dal carcere di Gerusalemme.

Liturgia Parola 3 avvento anno A

III Avvento 2020 A

2 commenti Aggiungi il tuo

  1. Maria Franca Fogliani ha detto:

    GRAZIE. Questa interpretazione mi convince e mi avvince. Grazie davvero.

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  2. Roberta Coppola ha detto:

    Chiaro che se sei quello che “prepara la via” e ti trovi in galera, forse qualcosa non quadra…e la domanda è lecita: “Sei tu quello che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?” E io cosa aspetto d’altro?
    Un altro amore? Un’altra esperienza? Un’altra amicizia? Un’altra vita?
    Mi sento dentro una “galera” che mi blocca, insinua dubbi e mi chiude in uno spazio ristretto per cui non avanzo, non progredisco, non ho uno sguardo che spinge oltre. Anche Giovanni è bloccato, chiuso, prigioniero ma proprio in quel momento Gesù, “in verità”, ne riconosce l’esistenza, gli dà valore, consistenza. Pronuncia il suo nome. Gesù mi riconosce nel desiderio di quel “altro” che vorrei e non ho. Ma non me ne fa una colpa. Lui prende il mio “oggi” e lo fa brillare…a volte lo trasforma in ciò che desidero, a volte no…per questo: “Sei tu quello che deve venire!”

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