Solo che siamo ancora vivi (e questo complica le cose) (Matteo 24,37-44) I Avvento anno A

Avvento

foto: Tettoia, Crocetta

Solo che siamo ancora vivi (e questo complica le cose)

(Matteo 24,37-44)

I Avvento anno A

 

La vita accade, con o senza di noi. La vita continua ad accadere e sostanzialmente lo fa senza grandi variazioni sul tema: si mangia e si beve, si prende moglie o marito. Lo si capisce bene quando muore una persona che abbiamo amato tanto, ci coglie in quei momenti uno stupore ridicolo eppure legittimo, ci si meraviglia che il mondo non si fermi, che continui come se non fosse successo nulla. E forse è davvero così, quello che per noi è tutto per la Vita è nulla. Si nasce, si ama, si muore. Si è sempre fatto, si farà fino alla fine, e intanto piove la vita, uguale a se stessa, con o senza di noi.

Dilatando il flusso del tempo essere un eroe o un miserabile non fa così grande differenza, tutto ciò che ora ci spacca il cuore scivolerà lontano dal presente, insignificante come tutti i drammi che ci hanno preceduto e quelli che verranno. Come un grande fiume il tempo si porta via amori e drammi, dubbi e conquiste, tutto va a finire nel mare indistinto del passato. E sarà così per sempre. La vita ci travolge con un sorriso distaccato, non si scompone più di tanto, aspetta, aspetta che noi passiamo. Questo è diluvio. Quotidiano.

E così appare legittimo non sognare più, o meglio succede che la vita silenziosamente travolga i nostri entusiasmi. Anche credere è ridotto a esercizio per ingenui. Tanto alla fine è sempre tutto uguale, dove sono andati a finire i propositi di duemila anni di avvento? Dove sono i grandi slanci di fede? Se siamo onesti lo sappiamo bene che l’anno prossimo saremo ancora qui, solo più vecchi e forse meno ingenui, a ricominciare l’ennesimo Avvento. Vien voglia di smettere. Solo che siamo ancora vivi, e questo complica le cose.

La vita scorre e ripete il suo appello: mangia, bevi, prendi moglie o marito. Il primo passaggio è accorgersi di questo. Passaggio rischioso, perché si può morire di paura davanti a tanta spudorata verità, a tanto cinico realismo: no, non siamo il centro del mondo. Passaggio scivoloso, per cuori forti, bisogna accettare di potersi smarrire, accettare di essere titolari di marginalità. Passaggio spesso negato, dalle nostre proposte di fede, credo per paura di perdere fedeli, si continua a celebrare la vita con banale leggerezza, a illudere di vuoti protagonismi, a fingere che credere renda bella la vita. Così facendo si disinnesca lo scandalo di vivere (e francamente credere non serve nemmeno più). Insistere con un certo modo di credere infantile, sorridente e ingenuo, ripetendo copioni lisi e inservibili, accontentandosi di svago e aggregazione, di parole senza anima ci conduce a una religione drammatica perché vuota.

Primo passo dell’avvento è guardare in faccia alla vita, a questa vita che è molto più grande dei nostri drammi. E non ricorrere subito a un Dio troppo comodo e consolante. Accorgersi del dramma, fare i conti con la tragedia di stare al mondo. E solo allora, solo dal ventre del dramma, trovare il coraggio di guardare negli occhi Noè. E chiedere conto della Salvezza.

Che poi Noè non esiste, nel senso che è uomo mai esistito in carne e ossa, è storia geniale di poche righe, indimenticabile, ma Noè non è un uomo, Noè è una strategia, l’unica minima strategia che anche il vangelo propone per non venire travolti dalla vita. Noè è un modo di stare al mondo, per uomini e donne che hanno sentito bruciante il dramma dell’esistenza. Se ancora la vita non ha deluso, se ancora si crede a una fede facile e leggera Noè è un uomo simpatico che salva qualche uomo e una serie di animali dal diluvio. Ci puoi fare perfino canzoni divertenti. Ma per chi è ferito dal dramma della vita, per chi è stato ustionato dagli eventi, Noè è una provocazione e una possibilità. La vita scorre, i diluvi arrivano, le vite vengono travolte e non c’è nulla, ma proprio nulla da fare se non continuare a mangiare, bere, prendere moglie o marito, stare nel campo, macinare alla mola ma al modo di Noè: portando in salvo piccoli frammenti di vita generativa. Piccoli pezzi, il minimo indispensabile, una coppia, un maschio e una femmina. Viene da piangere. Un lavoro minimo e paziente, uno di quelli che passano sotto silenzio, che “non si accorsero di nulla”, ma è l’unica cosa che possiamo fare. Questa è la fede, poco consolante e molto misteriosa.

Portare in salvo frammenti di vita significa spingerli nell’arca e chiudere la porta. Non fermare il diluvio, quello non si può, la vita prosegue, ma mettere al sicuro brandelli d’amore.

Il Vangelo ci mostra un Dio che si fa uomo, piccolo, insignificante, un Dio che non cambia il corso della storia, non impedisce agli uomini di nascere, amare e morire, ma un Dio che con la sua vita prova a mettere al sicuro alcuni gesti generativi. Apparentemente inutili, piccoli miracoli, ma che forse fanno la differenza, se ci crediamo. Perché credere è proprio quella cosa lì. Avere il coraggio di vedere il dramma di una vita faticosa e difficile ma insieme inventare e custodire gesti generativi.

Certo che la vita è mangiare e bere ma il pane si può pretendere oppure spezzare. Non cambia niente, giuro, la vita non cambia ci sarà sempre chi ha troppo e chi niente, ma credere è chiudere dentro l’arca un brandello di umanità amante e gratuita. Chiuderlo nell’Arca, che è come chiuderlo nel sepolcro, con il Crocifisso, brandello infinito d’Amore, e metterci una pietra sopra, che poi è come chiudere la porta dell’Arca e aspettare la fine del diluvio. Resurrezione.

Certo che la vita è prendere moglie o marito ma puoi farlo per abitudine oppure puoi viverlo con lo stupore di chi non si sente mai all’altezza dell’amore ricevuto. Puoi farlo passando di pretesa in pretesa oppure spargendo gesti gratuiti di amore. Non cambierà nulla, l’odio seguirà ad altro odio e la vita trascinerà tutto con sé ma dietro la porta chiusa del Sepolcro qualche visionario dice che è sepolto l’Amore, fatto di piccoli minimi insignificanti gesti che, come seme, esploderanno a vita.

Credere penso abbia a che fare con questo sepolcro sigillato che è la nostra Arca, un luogo dove deporre minimi gesti di amore, come semi. Credo che la fede facile e disimpegnata sia la bestemmia più appuntita. Credo che ci sia gente che, magari senza saperlo, sta seminando gesti d’amore che un giorno resusciteranno a vita eterna. Credo che sarebbe meglio morire se non ci fosse quel sepolcro a forma di Arca, credo che anche la mia vita, le nostre vite, passeranno senza lasciare traccia ma credo anche che qualche seme possiamo lanciarlo anche noi. Credo che la resurrezione sia un concetto difficile da immaginare ma credo anche che i gesti d’amore che ho ricevuto e che continuo a ricevere, quando mi accarezzano, prima di piantarsi nel sepolcro della morte, mi sembra sussurrino Eternità. E in quei momenti mi sembra possibile anche credere.

I Avvento 2020 A