foto: Viaggio in Tibet, gennaio 2016. Un tibetano pregando si prepara a morire
IO RIVOGLIO LA MORTE!
No, non è la morte a farmi problema, io la conosco la morte, mi cammina dentro da tanto tempo, da sempre, alla morte ero pronto, davvero. Non c’è riga che abbia scritto, non c’è pensiero, non c’è decisione, nemmeno sorriso che non fosse abitato da quel seme luminoso che è il morire.
No, non è la morte a farmi problema, è infatti proprio a partire dalla morte ho deciso la mia prima vera svolta vocazionale, se ho provato a essere infermiere è stato per un tentativo giovanile di dare senso a quel mistero. Non è bastato. Ma è stato prezioso.
Non è la morte a farmi problema, è infatti a partire dalla morte di un amico carissimo che valuto lo spessore di ogni possibile relazione perché è proprio la morte di Claudio, aveva poco più di trent’anni, ad avermi svelato la possibile profondità degli affetti.
Non è la morte a farmi problema, è a partire dalla morte che mi sono incamminato verso la mia seconda vocazione, mi son fatto prete, per questione di Senso, e pur cosciente di tutti i miei limiti e di tutte le mie mancanze, dei tanti errori e forse pure di alcune valutazioni vocazionali sbagliate, so per certo che non c’è stato momento per me più prezioso, da prete, dei giorni del lutto con le famiglie che ho accompagnato, mai momento più sacro e più umano del funerale. Per ognuno ho cercato di rendere prezioso quel momento, come potevo, con tutto me stesso. Ho sempre scritto omelie diverse e cercavo per ogni persona dei ricordi che provassero a rendere quel momento unico. Perché siamo unici no? Questo io lo credevo davvero.
Non è la morte a farmi problema, è la morte della morte a essere per me insopportabile. Rivoglio la morte, rivoglio tutto di lei, la rivoglio per come ho imparato a conoscerla prima di questi terribili giorni, io senza morte non posso vivere!
E’ morta la morte, l’abbiamo spogliata di tutto quello che la rendeva viva e anche cara, sicuramente preziosa. Non sono per niente pronto per questo modo di morire, non reggo questa mancanza di tutti gli atti del lutto, questo essere derubato della pietà, del silenzio, delle lacrime, non è morire questo, questo è scomparire. Ed è ingiusto, perverso, disumano, io questo non lo sopporto. E ho paura che per me sita iniziando una terza imprevedibile vocazione.
Non è la morte a farmi problema ma la morte del morire. Quella che sta portando via troppe persone, quella che sta umiliando le ultime ore di chi amo, quella delle bare caricate su furgoni militari, quella delle benedizioni frettolose davanti al cimitero e che qualcuno riprende e che poi arrivano via WhatsApp. E ti sembrano spezzoni di una fiction macabra e nemmeno troppo realista. Mi fa problema la morte del morire, quella morte che ha già ammazzato anche parte di me, in silenzio. Non si può morire così. Così non si riesce neanche a morire!
“In quel tempo, un certo Lazzaro di Betania, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dire a Gesù “Signore, ecco, colui che tu ami è malato” (Giovanni 11)
Domenica prossima è il Vangelo di Lazzaro, pagina di lacrime e speranza. Pagina che comincia con una tessitura preziosa di ciò che rende credibile la vita: un tempo, un luogo, relazioni d’affetto, un volto sofferente, ricordi d’amore, un grido di aiuto.
Io questo voglio Signore, questo pretendo. Non la guarigione, il miracolo, non che la morte sia sconfitta, lo so che la morte non è una sconfitta, non chiedo a te Signore, non chiedo intercessione ai tuoi santi, non chiedo niente di niente a nessuno se non un minimo di coerenza. Un brandello di umanità. Il miracolo di poter morire. Non sono arrabbiato Signore solo sono smarrito perché credevo di poterla avere al mio fianco la morte, perché io l’ho sempre trattata con rispetto, l’ho amata, l’ho sentita come parte di me, l’ho interrogata, l’ho sedotta, l’ho pregata, l’ho resa la culla vivente della fede e spesso anche della speranza, e invece, dopo averci camminato vicino per 45 anni lei oggi non c’è più. Perché è stata portata via.
“In quel tempo“. Invece non c’è tempo in questa quarantena, siamo tutti sospesi, io non so se mio padre riesce a contarli i giorni da sotto quel casco in cui si ostinano a sparare ossigeno ma spero proprio di no, perché sarebbe una tortura, so solo che provo a scrollarmi di dosso i suoi occhi imploranti ma non so più da quanto lo sto facendo, un giorno? Un mese? Un anno? Non lo so, perché non so più che tempo sto vivendo, non mi è mai successo di non aver voglia di alzarmi al mattino, non mi è mai successo di sperare che arrivi subito notte. Non ha più senso mattina e notte quando sei in quarantena e aspetti che qualcosa cambi. Hanno ucciso il tempo, e quindi anche la morte che col tempo fa l’amore.
Lazzaro, Marta, Maria, Gesù… volti, storie, io lo so il volto dei miei cari ma solo perché me lo ricordo…ti stai accorgendo Signore che dei tanti Lazzaro che stanno morendo nei nostri ospedali noi non vedremo più gli occhi? Nessuna sindone per noi, nessuno sguardo a madri o discepoli. Nessuna lacrima, nessuna carezza, nessun cireneo, nessuna croce ben piantata sul Calvario, solo una voce di medico che dice che è finita. Ma senza volto, senza nome, è la morte ad essere uccisa. E io questo non lo sopporto.
Il villaggio di Maria e Marta. Già un villaggio, perché è il villaggio a dire di una mancanza, sono le case vuote, le strade che conservano qualche ricordo importante, le chiese, il cimitero. Qui è tutto chiuso. Io ero pronto alla morte, mi stavo preparando da una vita a far cantare e piangere le pietre e invece niente. Arrivano bare e non ci sono case aperte al dolore e alla visita dei parenti e degli amici, non c’è liturgia, non c’è lutto, non c’è preghiera, non c’è umanità. Io alla morte ero pronto, non ero a tutto questo, e mai lo sarò, non ero pronto a scoprire che la morte sarebbe morta prima di me.
Forse i ricordi, forse quelli rimangono, come quando Maria cosparse i tuoi piedi di profumo ma sai, non so più dove collocarli i ricordi. Sono stanco. Sono svuotato. Sono smarrito. Per appendere i ricordi serve una stanza in cui ci si possa sedere e raccontare e ricordare. Ma serve anche un corpo morto da guardare! Sono i giorni del lutto. Sono indispensabili capisci? E invece qui non c’è nulla.
Sono deluso. Ecco, forse più di tutto sono deluso, non riesco a essere arrabbiato, non riesco a prendermela con nessuno, sono solo deluso da questa vita che ho amato anche quando appariva ingiusta e bastarda, ma l’ho sempre rispettata, cantata, adorata. Adesso sono deluso per questo vuoto. Per questa morte della morte. Pensa se fosse successo a Te Signore, pensa se nessuno avesse potuto seguirti sul Calvario, se nessuno ci avesse parlato delle tue ultime ore, se nessuno ti avesse seguito. Se tu fossi morto senza Passione. Ecco, hanno ucciso la morte in questi giorni, io spero che possa risorgere, la morte dico, e il dolore, che possano risorgere dei modi per raccontarlo, altrimenti rimarrebbe solo una vita senza Passione.
❤
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Il mondo è pieno di persone che muoiono da sole, senza il conforto dei famigliari, neppure in un letto comodo di un ospedale. Il mondo è sempre stato pieno di persone nate, cresciute, morte da sole..noi siamo stati sempre privilegiati anche in questo. Accompagnati anche nella morte,protagonisti anche morendo. Ora tutto questo a molti di noi è stato negato e sarà negato,ed è terribile potremmo anchenoi rimanere soli . Possiamo solo sperare di rimanere vivi il più possibile e di rimanere con Lui almeno nel giorno della nostra morte.
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Certo che siamo unici…
Agli occhi di Dio lo siamo sicuramente.
La morte della morte….
Un senso di vuoto, un senso di non accompagnamento nel momento più importante della vita di qualcuno. Non è tanto la sofferenza, ma è la solitudine nella sofferenza e nella morte che fa sanguinare il cuore.
Il non esserci è straziante.
Ma Dio c’è, è con chi soffre ed è pronto ad accoglierlo tra le sue braccia. E con l’ultimo respiro entra direttamente nel cuore avvolgente di Dio. Questa è la certezza che ci deve sostenere in questo terribile momento.
I riti funebri, le parole servono solo a noi, a lenire il distacco, ad attutire la morte.
Ora sei angosciato, le voci e i ricordi ti sfuggono.
Verrà il tempo della pacificazione, e ritroverai nel tuo io più profondo ciò che ora vedi sfumato.
Perché chi hai amato continua a vivere in te per sempre.
Un forte forte abbraccio don Alessandro
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C’è stato un momento in cui ho rischiato di morire dentro ad uno di quei caschi, respiravo a fatica ma non c’era nessuno vicino a me. Nei reparti di terapia intensiva può entrare una persona per pochi minuti con mascherina e camice che tu, dentro a quel coso mezza morta neanche la riconosci..
Se fossi morta, sarei morta da sola. Ci pensavo spesso e spesso ho sentito dietro la tenda che separava il mio letto ad un altro la disperata corsa a tenere in vita qualcuno che poi veniva portato via. Mi chiedevo: sarò io la prossima?… Ero sola. 16 anni fa. Nessun virus…
La morte non è morta. È l’idea della morte che abbiamo sempre avuto che sta cambiando ma la morte, lei, è qui in mezzo a noi, più presente che mai. Ci sfiora, ci dà un colpo, scompare e riappare. È qui a dirci: tu in cosa credi? A cosa stai dando importanza? Non mi vedi? Guarda meglio… Scopri chi sono veramente…
In questo momento abbiamo il dovere di aprire le orecchie e gli occhi perché è un opportunità quella di cambiare i punti di vista. Qui si tratta di accettare, consolidare, amare.
Dai, forza! Lo sappiamo che è dai momenti difficili che evolviamo, dobbiamo però accettarli…❣️
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Anch’io sono delusa don, perché non posso essere vicina a mia mamma che sta male. Questa situazione da rinchiusa mi angoscia per le parole che tu hai detto. Non è la morte in sé, ma come questa morte ti soffoca dagli affetti della tua famiglia, in un momento di dolore. Grazie un abbraccio.
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Io penso, che il saluto finale non sia necessariamente quello dell’ultimo respiro….questo non l’ho capito quando è morto Efrem (il mio giovane marito) al quale non ho potuto tenere la mano. L’ho CAPITO quando è morto mio padre che invece mi ha aspettato : mancavo solo io, Non respirara quasi più ma sono riuscita a dargli ‘ìultima carezza .. Ero felice perchè lui mi aveva aspettata, Efrem no…lui è morto da solo. A distanza di alcuni anni ho capito però che non è quello il ricordo più dolce legato alla morte di mio padre ma l’ultima cosa che abbiamo fatto insieme ,anzi le ultime: tanti piccoli gesti d’amore e quotidianotà. Allora ho capito che di Efrem avevo Alice ed era vita nuova. Anche io penso che vita e morte siano amiche migliori. . A volte non è possibile seppellire i propri morti, a volte non si riesce, ma volte lo si sceglie. Io non ho seppellito mio padre…ma l’ho salutato mettendogli i calzini ed il fazzoletto nel taschino mentre andava in ospedale a morire. Questo è stato il nostro commiato. Ancora oggi piango di commozione e di amore.per quell’umile gesto che ho fatto per lui, con lui.
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Quando mio figlio Giorgio morì eravamo tutti intorno a lui: la mamma, il papà, i due fratelli e la nonna.
Gli abbiamo visto tirare l’ultimo respiro. L’avevamo voluto tenere in casa, seguiti da una straordinaria infermiera che era sempre disponibile a insegnare e a dare consigli. E l’abbiamo tenuto in casa, nella sua casa, per i giorni seguenti. Tanta gente è venuta a salutarlo, gli amici piangevano, gli parlavano e poi si fermavano a condividere i pasti con noi. Mi sembrava di onorarlo, di scaldarlo con la nostra presenza. A volte la dolcezza prevaleva sul dolore.
Quando morì anche suo fratello Paolo, improvvisamente, a Londra, l’autunno scorso, dovetti impormi perché lo portassero a casa, fino al secondo piano. Mi guardavano increduli perché avevo rifiutato l’ospitalità nella casa funeraria, come la chiamano adesso. La sera prima del funerale i suoi amici hanno fatto una veglia, sono venuti con bevande e cibo e a turno hanno parlato di lui, ricordando aneddoti, alternando i sorrisi e le lacrime.
I nostri amici arrivavano per il pranzo e la cena, carichi di pentole e pentolini, e si mangiava insieme, vicini a Paolo.
Perché, a parte il momento attuale di emergenza che obbliga al distacco, un distacco tremendo e inumano, nessuno tiene più in casa i propri morti? Perché? Perché la morte deve essere un distacco netto e non la prosecuzione di un percorso insieme, comunque insieme, nella stretta di un amore che non ha termine?
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Provo una vera e propria devozione per le madri che sopravvivono ai figli. Amo mia suocera come una madre e so che sono come una figlia per lei. Efrem è stato in casa sua (io avevo Alice piccola ed ero ferita fisicamente per l’incidente subito). Mio padre invece ha scelto di andare in ospedale sebbene avevamo attivato assistenza domiciliare ed io stessa sono infermiera. Lui non voleva morire ed andare in ospedale era per lui l’ultima speranza…io penso che la morte abbia bisogno di dignità. Quello che io chiedo a Dio, è una morte dignitosa.
Dacia Maraini nel libro “La grande festa” pag. 113 scrive:
“La parola agonia deriva dal greco agon che vuol dire lotta. A me sembra però piu appropriata la parola travaglio. Mi sono trovata a pensarlo quano sentivo al piano di sotto la signora Garinei che gridva e si lamentava a voce alta. Sapevo che era molto malata ma non sapevo che stesse morendo. E’ in travaglio, mi sono detta. Ma travaglio è anche la parola che si usa per la nascita. Piccola, intelligente coincidenza verbale che rivela la profonda vicinanza fra la fatica di nascere e quella di morire…”
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Ciao caro don Alessandro, prendo una strofa degli esercizi sulla buona morte che mi piace: Finalmente, quando sarò occhi negli occhi, quando vedrò per la prima volta lo splendore dell’amore, sono sicura che sorridero’, piangero’ di gioia, è finalmente terminata la mia attesa, è finalmente finito quel mio riposo che sembra eterno, eccomi vengo alla luce. È inizierò a camminare. Ancora insieme.
Un pensiero che mi è venuto spontaneo, se può servire come consiglio ( ma credo che tu lo sai ) SE TU AMI, L’AMORE È PER SEMPRE, IN QUALSIASI SITUAZIONE
P.S: ti sono vicina con la preghiera
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Grazie per questa profonda riflessione nella quale mi sono “trovata”. Grazie davvero.
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