foto: Ricordi del viaggio in Tibet
Manda già cattivo odore!
(la Resurrezione e la puzza della morte)
“Gesù scoppiò in pianto”, davanti al sepolcro di Lazzaro Gesù scoppiò in pianto. E adesso venite pure avanti cattolici ferventi e teologi perfetti e dite a Gesù che non deve piangere, che non è giusto che si disperi perché tanto il Padre sta agendo anche dentro quel sepolcro. Fatelo sentire in colpa per quelle lacrime, diteglielo che la disperazione non è sentimento cristiano, dite che non vi aspettavate che proprio lui si lasci andare a un cedimento di questo genere, che in questo momento serve speranza. Ditegli che Lazzaro non è il primo e non sarà l’ultimo a morire, dite che la luce è dentro quell’ombra, ditegli che miracolo non è guarire ma godere dell’affetto di Marta e Maria e che non importa essere arrivato tardi, tanto i gesti di lutto erano solo consolazione personale, diteglielo a Gesù che la sua mancanza di fede lascia senza parole, ma diteglielo con delicatezza, perché un buon cattolico non alza mai la voce e non giudica.
A me questa religiosità delle risposte non appartiene per niente. Questa uccisione del dolore, ma con il sorriso, fa solo arrabbiare. Io credo che la vita, e quindi la morte, non si possa spiegare. Io credo che chi tenta di farlo sia irrispettoso o ingenuo. Io non credo a una religiosità che non valorizza ogni momento della vita, anche il più duro, io non credo nelle parole consolatorie di certa religiosità, credevo fosse chiaro già da tutte le riflessioni pubblicate fino ad ora.
Io a questa fede che sa sempre cosa dire non trovo nulla da chiedere.
Io a Gesù, sicuro, non avrei detto nulla, lo avrei lasciato piangere. E non solo Gesù, ma tutte le persone colpite da qualche dolore, le avrei lasciate piangere. Spero di non aver mai rifilato a nessuno, nel momento del dolore, risposte consolatorie, risposte di nessun tipo. Spero di non aver mai messo a confronto il dolore di uno con il dolore di un altro. Se muore qualcuno che ami non ti serve a nulla sapere (perché già lo sai) che sono morti in tanti. E non rilanciare mai con i dolori cosmici (“pensa a chi muore in guerra, o di fame…”) perché in quel caso considero diritti perfino la maleducazione.
Io di questa religiosità clericale, che vuole sempre tenere tutto sotto controllo, che vuole consegnare compiti ben fatti in attesa di un voto finale ottimo, che quando colora non vuole mai uscire dai margini, io di questa fede non so casa farmene.
E non è vero che non ho speranza, non è vero che non credo, credo fermamente che non finisca tutto qui, lo credo ancora di più oggi, dal ventre di questo dramma personale e collettivo. Non credo di aver mai avuto fede come in questi giorni. Forse però intendiamo cose diverse.
Io ho speranza, ma non nelle facili risposte, mi spiace, la mia speranza ha un volto, la mia speranza piange davanti al sepolcro di un amico. La mia speranza è il Cristo vivo, per come i Vangeli mi raccontano, la mia speranza è un corpo che continua a incarnarsi anche nel dolore. Perché resurrezione non è qualcosa che sarà se non è già qui, e se non si prende con se il dramma della vita.
La mia Speranza all’inizio di questa pagina evangelica, Giovanni 11, la storia di Lazzaro e di Marta e di Maria, fa una cosa che nessuno osa fare “quando sentì che (Lazaro) era malato rimase per due giorni nel luogo dove si trovava”, la mia speranza invita il tempo, lo chiama il tempo, concede al tempo di essere il vero protagonista di questa narrazione, la mia speranza è Signore del tempo. E il Signore del tempo lo sa bene che non sono le risposte a essere importanti ma i processi di attraversamento (le pasque), il tempo va amato, custodito, adorato. Il tempo dell’amicizia, il tempo del dolore, il tempo dello smarrimento, della ribellione, ogni tempo. La mia speranza, l’unica speranza, non sta nelle persone che dicono che devo smettere di soffrire ma in questo mio amato Signore che mi permette di alzare la voce, lamentarmi, scagliarmi contro le forme ingiuste della vita, ribellarmi, anche gridare contro al cielo la nausea e la delusione. Il mio Signore mi spiace per voi, ma mi ama per come sono. La mia speranza è in Cristo, Signore chi invita sempre il tempo a fare l’amore con la morte. Perché non ha paura di lasciare a ognuno di vivere quel tempo, prezioso. Di viverlo da vivi!
Gesù piange, non sorride da primo della classe, spiegando che tanto alla fine tutto si sistemerà, perché il mio Dio ha venerazione per ogni singolo attimo della vita, anche di quello che ai benpensanti sembra sconveniente. Il mio Dio non ha paura delle parole masticate e sputate, non mi condanna se quando scrivo uso il cuore, non viene a tenermi lezioni di catechismo se sto soffrendo. Il mio Dio è quello che lascia a Giobbe di essere Giobbe. E’ il Dio di Qoelet, è il Dio della Bibbia. Umanissima narrazione dell’umano in tutte le sue forme, senza censure. Dell’umano. Del suo fango e del suo spirito, di tutte le sue angeliche porcherie.
Gesù invita il tempo e lo apre con delicatezza in ogni angolo di quella narrazione, come si spiega la benda da un cadavere, come si apre una tovaglia per il pranzo, a ognuno il suo pezzo sacro di tempo, perché ognuno possa rispondere come vuole, perché quello sia tempo gravido, fecondo, di lacrime e di dolore, travaglio, parto, o semplice sfogo. Lui apre il tempo e lo abita in silenzio. Con noi. Senza finzioni. Il mio Signore è il Signore del tempo, non ha paura di lasciarlo essere, non vuole che finisca presto, non ha nessun problema a farlo parlare.
Gesù dona tempo a tutti, i primi in questa pagina evangelica sono i Dodici, lo dona con coraggio e accoglie le loro incomprensioni e le loro illusioni, “andiamo anche noi a morire con lui”, dice Tommaso, in quel tempo per lui ancora troppo acerbo, non aveva capito che si muore soli, che sempre si muore soli. E che la speranza ha bisogno dei giorni del sepolcro e che anche si risorge, ma sempre soli. Lontano da occhi che non possono capire, e non possono spiegare se non per poetiche evocative immagini. Non la si spiega la morte, non la si spiega la vita, neppure la resurrezione si spiega, per questo servono poeti, che non spiegano, evocano. Nella Chiesa oggi, servono poeti. Meno teologi, meno preti, più poeti.
Dona tempo a Marta perché lei “gli andasse incontro”, cioè perché lei scegliesse di uscire di casa e di risorgere. A suo modo. Con i suoi tempi. A lei serviva quel tempo e Gesù glielo concede, e concede a Marta la vitalità della ribellione “se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto…” e solo dopo, senza lezioni ma con uno sguardo, senza condanna ma con tutto se stesso, parla di Resurrezione, ma non come concetto astratto ma come incontro. “Io sono la resurrezione e la vita”. Certo che lo sapeva Marta, certo che credeva in Gesù, ma davanti alla morte non basta sapere, occorre abitare il tempo e avere compassione e condividere il dolore, e stare e prendere per mano e lasciare che il silenzio cammini nel tempo per tutto la durata che vuole. E aspettare che Lui si faccia vicino. Nel frattempo, umilmente, senza paura, in silenzio, accennare poeticamente i gesti della Compassione, noi non siamo resurrezione e vita, ma possiamo evocare Lui. Ed è tutto quello che possiamo fare. Evocare in religioso silenzio. Senza fare fretta al dolore. Senza mostrare con parole troppo sicure, con parole che vorrebbero spacciarsi per parole di fede, che non sappiamo stare zitti perché in realtà abbiamo la stessa paura di morire di chi dice di non credere in niente.
Gesù dona tempo a Maria. Che si alza e vola incontro all’amico e non va a piangere al sepolcro come pensa la gente (perché la gente pensa sempre di sapere cosa sia giusto fare quando soffri!) e si inchina e anche lei chiede conto a Gesù. E piange. E Gesù non solo la lascia piangere ma piange con lei, capite? Io credo in questo Signore, in questo figlio dell’Uomo che prende sul serio le mie lacrime e le lacrime di tutti.
“Si commosse profondamente e molto turbato”. Molto turbato, lo capite che non finge? Lo capite che da quel momento in poi non possiamo più chiamare in causa il Dio che risponde con esattezza e precisione ai dolori del mondo? Lo capite che si può aver fede mentre si piange, mentre non si prega, mentre si è turbati, mentre si è arrabbiati, mentre di vorrebbe solo morire, mentre non si capisce, mentre si litiga con Dio, mentre ci si sente delusi dalla vita…?
Ma io questo l’ho scritto in ogni pagina, davvero non si capiva?
Io ho tanta speranza, in questo Padre che ama il mio essere figlio e che non lo censura mai. Ho meno fede in una Chiesa impaurita che non regge la libertà del cuore.
Io credo in Cristo, nel Cristo della libertà, la libertà di togliere le bende da un cristianesimo che non vuole sentire la puzza di morte (Marta dice “Signore manda già cattivo odore!”).
Io credo nel Cristo che mi libera (“Liberatelo e lasciatelo andare”) anche se le mie parole puzzano di rabbia, puzzano di sconfitta, puzzano di dolore.
Io credo, credo davvero che non finisca tutto qui ma credo anche che tutto quello che noi chiamiamo “qui” sia lo spazio in cui ognuno deve imparare a scoprirsi liberamente e semplicemente uomo.
Io credo davvero in questo Cristo e credo che il primo movimento della Resurrezione sia la mia libertà di essere Alessandro.
Quanto mi arricchiscono le tue parole don, la morte la sto vedendo sotto un’altra luce. Lui apre il tempo e lo abita in silenzio. Con noi. Senza finzioni. Ma soprattutto senza fare fretta al dolore!!! Grazie un abbraccio.
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Amore.
Il riassunto di tutta la fede.
Grazie Alessandro.
Credo anch’io così. Ti abbraccio con il cuore.
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Sì che si capiva. Piango
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Grazie! Le tue parole mi riempono il cuore di emozione e di amore per l’umanità ferita e disperata… grazie di essere Alessandro!
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Si, Alessandro . Sei sempre stato chiaro. Abbiamo bisogno tutti di essere amati incondizionatamente per l’essere che siamo , non per il ruolo che abbiamo . Ti abbraccio
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Ti ringrazio per questo scritto, anch’io penso come te di credere “in Cristo, nel Cristo della libertà, la libertà di togliere le bende da un cristianesimo che non vuole sentire la puzza di morte”, sono commossa! un abbraccio…..
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Io ti sono vicina e ti ascolto, in silenzio, come in silenzio sono con i miei ospiti quando mi parlano del loro dolore. Io resto nel silenzio e non ho risposte né per loro né per me. Sento solo che insieme ci curiamo, insieme, nella nostra relazione, nei nostri processi, nelle nostre lacrime e sorrisi. In silenzio mi sento davanti a mio figlio quando vivo impotenza, paura, rabbia… e allora resto ad ascoltare. Grazie
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È tempo di piangere…
Un abbraccio di vero cuore…
Forza e coraggio…
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Posso solo dirle chd6al termine di tutto ho pianto?
Si, ho pianto lacrime che da tempo erano chiuse in una scatola di dolore.
Grazie……
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