Lascia che sia Quinta domenica TO A 2020

 

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foto: Dulcinea e il tramonto

Liturgia Parola V TO A

Lascia che sia

(Matteo 5; 1 Cor; Isaia )

Quinta domenica tempo Ordinario anno A

 

E per mischiarmi con le lacrime, e per rendere profondi i sapori, e per poter trasformare l’impasto in pane e l’acqua in mare. E per provare e a rendere fragrante l’atto tragico di essere stati partoriti uomini. Vorrei essere sale.

Almeno per questo istante, dove parole non mie chiedono di essere impastate di acqua lievito e farina per poter reggere l’urto del fuoco e il sepolcro del forno, per poter risorgere a umana comunione.

Vorrei essere sale perché se non incontra la vita, se non la feconda, se non fa l’amore con la carne dei viventi rimane inutile, perché se crede di bastare a se stesso può solo conservarsi, immobile, e puro, e senza gusto.

Vorrei imparare ad essere sale per saper gioire del sapore cantato in vite non mie, per imparare a scomparire, a sciogliermi nell’altrui miracolo di essere al mondo, per esaltare il gusto della vita che non è data da me ma che da me può essere riconosciuta e cantata, vorrei imparare a colorare i sapori, a danzare le sfumature del gusto.

Vorrei imparare a essere luce, per il coraggio di sottrarre paura al buio, per la sfrontatezza della verità, per la costanza mistica di ogni alba, per l’ingenua impossibilità di tacere.

Vorrei essere come la luce, che non può illuminare se stessa, vanificando ogni inutile cedimento a patetico narcisismo.

Vorrei essere luce perché come lei, senza il gran teatro del Reale, anche io non avrei senso.

Vorrei essere come luce, perché lei è mezzo, perché quando diventa fine, quando chiama a sé, quando trova il coraggio di “far venire alla luce” è per far nascere vita, e in quel momento lei ritorna nell’ombra.

Vorrei essere luce, almeno per un istante, almeno per questo istante, mentre parole non mie sono già nate, mentre con lume appassionato e tremante provo a mostrare quello che non smette di stupire la mia povertà.

Vorrei essere come la luce, almeno per un istante, almeno per questo istante, anche solo per raccontare che non voglio nascondermi e che credo ancora che l’uomo possa operare il Buono, e per lasciarmi solo attraversare, per imparare a non trattenere, per lasciare che i nostri occhi ritrovino il coraggio di camminare il Cielo cercando un Padre.

Vorrei imparare braccia aperte, e crocifisse. E un cuore così coraggioso da mostrarsi nella sua tremante debolezza, e vorrei timore e trepidazione. E tanto silenzio. Che la potenza di Dio, lo dice bene Paolo ai Corinzi, non è esercizio di “discorsi persuasivi”. Ma ancora lo “dice”, Paolo, e questo lo rende teneramente grottesco, come tutti noi che ancora non abbiamo imparato a scomparire.

Vorrei imparare braccia aperte e crocifisse e il battito del cuore debole, vorrei imparare a lasciar andare ogni parola, a usarla, a gettarla a manciate, vorrei parole che si sciolgono e che si spengono, vorrei che ogni parola fosse un passo verso il Grande Silenzio. Vorrei che lo scrivere fosse come imparare a morire, illuminando e insaporendo, almeno un poco.  E morire. Morire. Morire.

Vorrei che tutte queste parole, predicazioni persuasive di sapienze non mie, mi svuotassero ogni giorno di più, fino alla fine, fino ad allargarle queste braccia sempre troppo strette, fino ad abbracciare il grande Suono, quello che tutto contiene, come sul Golgota.

Vorrei con Isaia parlare di Dio senza nominarlo più, che blasfemo sento ogni tentativo descrittivo. Vorrei imparare a dire Dio nel pane diviso con l’affamato, vorrei trovare il coraggio di dire che l’affamato sono io, mendicante di amore.

Vorrei con Isaia fare casa col mondo, coprire le altrui nudità, comprendere una volta per sempre che blasfemo non è imprecare al Dio invisibile ma usare le altrui fragilità pur di non ammettere le proprie povertà. Vorrei imparare a non trascurare chi mi è più vicino, e smettere di amare la povertà, la castità, e l’obbedienza per iniziare a imparare i nomi delle persone che incontro.

Vorrei imparare a dire che le ferite si possono rimarginare ma solo se accompagniamo processi e se smettiamo di imporre confessioni e perdoni svuotati del dramma.

Vorrei imparare a dire “Eccomi!”, che è il gesto più divino che si possa immaginare.

Vorrei finalmente dire “eccomi”, ma non a una idea di divinità, non a un sistema sacro, non a un sogno, vorrei dire “eccomi” a me stesso. Come Dio sogna per ognuno di noi.

E non avremo più bisogno di opprimere, di puntare il dito, di parlare male, e sapremo aprire il cuore. E brilleremo nelle tenebre.

Finalmente.

Perché finalmente avremo baciato libertà

V domenica TO A 2020

3 commenti Aggiungi il tuo

  1. Luciana ha detto:

    Buongiorno don Alessandro. Nuovamente le sue omelie mi avvolgono di coraggio e poesia. Ora andrò fare una passeggiata alke Pieve di Colognola Passeggiando meditero*le sue parole, la bellezza . Grazie.

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  2. Teresa ha detto:

    Dulcinea sembra una principessa che ammira il suo regno…
    Ciao don Alessandro e grazie sempre per le tue omelie poetiche e popolari al tempo stesso.
    Un abbraccio a te e una carezza a Dulcinea.
    Teresa (Reggio Emilia)

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    1. Vittoria Cavalleri ha detto:

      Grazie don, è sempre interessante ascoltarti i tuoi pensieri così profondi, mi arricchiscono e mi danno una carica in più nel vivere la fede. Un abbraccio.

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