foto: Cammini (Dulcinea e Giacometti)
Scagliare lacrime e silenzi (rivoluzione)
Tutti i Santi (Matteo 5,1-12)
Mi commuove sempre questo Gesù che si siede in cima a un monte e si lascia avvicinare. E più l’uomo si avvicina, a piccoli passi, come su suolo sacro di antichi roveti di fuoco, come entrando in chiesa, come nella stanza dove dorme chi più ami, più l’uomo si avvicina e più si sente cucire addosso un vestito prezioso, quello del discepolo.
Gesù si siede e io cammino, da una vita cammino, ma adesso più lento, e senza pretese, con dolcezza, e finalmente sento che in fondo è tutto così semplice, lui ci aspetta e noi ci avviciniamo, siamo nati per questo. Vivere è un cammino lieve incontro all’amore che ci attende.
Lui si siede e noi proviamo ad ascoltare, che la rivoluzione non grida, non pretende, accoglie e spesso sussurra. Nessun nemico se non la paura, nessuna paura se non quella di non riuscire a credere all’uomo quanto ci crede questa divinità in attesa. E inattesa.
Lui si siede e noi proviamo ad avvicinarci piano e in quel momento di pacata semplicità ecco che le Beatitudini trovano il colore esatto per appoggiarsi al mondo. Come semi sospesi nel vento. Lievi e rivoluzionarie, gentili e infuocate, delicate e radicali, questa è la forza immensa di questa pagina inarrivabile. Parole che abilitano l’umanità a una resistenza che non ammette violenza, a una ribellione efficace perché non oppositiva, a una rivoluzione che scaglia lacrime e silenzio e speranza contro la disumanità.
La rivoluzione di chi sa allevare un cuore alla povertà, che poi è quello che lui stesso chiede, se solo sapessimo ascoltarlo. Ad ogni battito, ad ogni singolo battito, in noi batte la preghiera di un muscolo romantico capace di elemosinare amore con gli occhi gonfi di speranza. Non credo più in nessuna rivoluzione che non preveda di dare voce al bisogno radicale d’amore che brucia in petto. Non voglio più credere a nessun uomo, non voglio nemmeno ascoltare, chi non esplicita di essere un povero mendicante di baci e di carezze e di parole accoglienti. Povero è chi sceglie di opporsi alla violenza seminando battiti cardiaci imploranti come preghiere, richieste d’amore, appelli di cura e di custodia. Vorrei essere parte di quella chiesa rivoluzionata e rivoluzionaria, la chiesa dei cuori affamati di cura, la chiesa che sa bene che un discepolo è solo un bisognoso d’amore.
E certo che piangerò, è così semplice smettere di fingere. Certo che piangerò, perché credo fermamente solo nelle persone che hanno ancora il coraggio di scagliare lacrime contro l’arroganza e l’indifferenza. Perché solo chi piange e si lascia consolare ha ancora una possibilità di cambiare il mondo. Partendo da se stesso.
E non sopporto più l’arroganza, perché strappa la fraternità, perché confonde le parole, perché è figlia della paura di morire. Non è più tempo di dare fiducia agli arroganti, non credo in chi ha le soluzioni facili, non sopporto chi, con supponenza, conosce sempre il volto dei nemici. Il mondo sarà cambiato con la mitezza di chi si sente erede di una terra che ha trovato e vuol lasciare a chi verrà dopo di lui. E se il mondo non cambierà almeno non smetterà di respirare, levigato dalle carezze dei miti. La mitezza di chi non si sente padrone mai, ma neppure schiavo ma padrone mai, viandante quello sì, grato e stupito e leggero. La rivoluzione è dei miti e del loro sorriso scagliato controvento.
E non voglio più credere a chi pretende giustizia ma nemmeno a chi la promette. Il mondo non è giusto e non lo sarà mai. Da duemila anni la croce certifica il fallimento delle umane utopie. Le rivoluzioni violente illudono, promettono, poi replicano. Non voglio più cadere nella trappola seduttiva delle soluzioni definitive. Credo solo nella beatitudine rivoluzionaria di chi vive di passaggio ma, mentre cammina, rimane affamato. Affamato ora, per essere saziato poi, ma da un Amore più grande. Affamato, contro chi non sente più il profumo del pane buono della fraternità, affamato, così affamato, da non sprecare nemmeno un boccone di pane, anche piccolo, perché si procede a morsi, perché solo così non si perde il ricordo, la memoria, dell’approdo.
Di misericordia in misericordia, perché così ho visto crescere la vita, in me prima di tutto. Sono vivo solo grazie al perdono che altri mi hanno offerto e che io, a fatica, sto imparando a regalarmi. Non credo nella vendetta, nella punizione e nel castigo, non ci credo non perché sono buono ma perché non funzionano. La violenza porta solo ad altra violenza. Ricamare trame di pazienza, allenarsi a riconoscere umanità in ogni persona, non smettere di ringraziare per quando la vita, misericordiosamente, ci ha graziati. Resistere alla tentazione dell’aggressività, non dare fiducia a chi parla con cuore risentito. Sospettare sempre di chi “perdona ma non dimentica” amare invece chi non dimentica il nostro nome, di chi non dimentica il nostro indirizzo e il nostro numero di telefono nonostante la nostra miseria. Amare chi non riesce a dimenticare la fragilità umana perché ne è perdutamente innamorato. Sospettare di chi parla spesso di perdono e di misericordia, amare chi nel nascondimento riesce a preparare orizzonti, strade percorribili a chi non crede più in se stesso.
Beato chi ha il cuore puro, ma dove puro non vuol dire immacolato ma vivo. Puro nel suo essere cuore, puro nella sua vocazione profonda: che il cuore faccia il suo mestiere: ami! Sospettare sempre di chi parla troppo d’amore, di chi ostenta, il cuore quando è puro, non ha bisogno di alzare la voce per farsi sentire. Beati i cuori che vedono Dio, che lo vedono adesso, che riescono a scorgerlo in ogni sguardo, in ogni alba, in ogni ramo e cane e nuvola e formica e poesia e vento e bava di lumaca…
Beato chi opera la pace partendo da se stesso. La pace non si scambia, la pace non si promette, la pace non si concede, la pace: è, la pace abita. Beato è chi è pacificato, non perché non conosce conflitti ma perché nulla può smuovere la gioia di essere figlio. Figli di un Dio che siede e aspetta, in pace, al centro del mio essere più profondo. E noi non dobbiamo far altro che camminare, semplicemente camminare, con leggerezza rivoluzionaria, con il sorriso di chi ha sperimentato di essere amato, camminare verso la pace. Verso se stessi.
E non avremo più paura, nemmeno in tempo di persecuzione, dove la persecuzione peggiore è quella che ci infliggiamo per la paura di non essere all’altezza della vita. Non avremo paura degli insulti, nemmeno di quelli pesantissimi che noi facciamo a noi stessi quando siamo stanchi di amare. E non ci farà più paura nemmeno la menzogna perché la verità non è una cosa, un’idea, una religione, che sono tutte cose che possiamo perdere, no, la verità e una persona e noi non la perdiamo perché appena ci allontaniamo lei si ferma. E ci aspetta.
Un delicatissimo grazie per non disturbare l’incanto di queste tue parole.
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