
Un mondo di ciechi
(Giovanni 9,1-41)
IV domenica di Quaresima anno A 2023
E quello che vedo è un mondo di ciechi.
Fu Lui quel giorno a vedermi da lontano io non potevo, Lui era con i suoi discepoli, io stavo da solo chiuso dentro da quel catrame che mi sigillava gli occhi, cieco dalla nascita, non ero mai riuscito a vedere nemmeno l’ombra di una luce. Ero cieco, l’avevo accolto come si subisce il destino. Ero cieco, definizione rassicurante per molti, etichetta più che sufficiente per catalogarmi e darmi un posto, marginale, nel mondo. Ero cieco e bastava a dire tutto di me, non serviva altro, ogni uomo ha in cuore la misteriosa tentazione di voler catalogare la complessità per categorie e di ordinare ogni cosa. E di semplificare, forse nemmeno il mio nome sapevano, a cosa serviva? Ero il cieco, e bastava.
Io stavo, nel posto ordinato dei ciechi io stavo, non disturbavo, confermavo il meccanismo segreto che ordina le leggi del mondo. Ero cieco, qualcuno avrà peccato, scontavo una colpa, tutto lì. Non ero l’unico, non sarei stato l’ultimo.
Fino a quando uno sguardo di luce decise che ora di cogliermi, di cambiarmi di posto. Il miracolo per me è ogni volta che qualcuno o qualcosa cambia di posto e costringe il mondo attorno a ridefinirsi. Non è un caso che i discepoli, appena prima che Lui mi ridonasse la vista, stavano discutendo sul motivo per cui io stavo, al buio. E il motivo era il peccato. Mio o dei miei genitori, poco importa, l’importante è il senso di tranquillità che regala sapere che c’è un ordine di merito che sistema ogni cosa. Si può spiegare tutto con la logica del peccato, sei hai sbagliato paghi, e la vita non inquieta più. Si costruiscono interi sistemi religiosi con questa logica: i buoni in paradiso, i cattivi all’inferno, chi soffre gioirà chi gioisce morirà nei tormenti. Quello che chiamano Dio non è altro che il grande ordinatore del cosmo, sistema le cose, premia o condanna, tiene tutto in ordine.
Le cose non stanno così. Lui lo disse subito ai suoi discepoli che, come sempre, non capirono: anche quegli occhi bui sono occasione perché sia manifestata l’opera di Dio. La vita è una luce sommersa nel buio di ogni persona, la vita è come una preghiera continua della luce che chiede di poter venire alla luce, la vita come occasione per scardinare le apparenze, bastava avere il coraggio di disordinare le certezze. Dio è colui che disordina i dogmi.
Invece, anche oggi, vedere dei cambiamenti, assistere a degli stravolgimenti, accompagnare dei ripensamenti ci destabilizza, ci impaurisce, preferiamo tenere chiusi gli occhi, sperare che nulla cambi. E così costringiamo le cose a rimanere immobili. Che forse è uno dei mali più gravi di cui siamo complici.
Lui non disse molte parole, Lui diventò il Creatore, divini furono i suoi gesti, Genesi avveniva davanti ai loro occhi stupiti ma l’unico che vedeva davvero ero solo io, paradosso ridicolo, la Parola accadeva davanti ai loro occhi e l’unico a vedere era un cieco. Loro non volevano capire, avrebbero preferito da Cristo una spiegazione logica dell’esistente. Loro in fondo avrebbero creduto più facilmente a un Dio razionale e giusto, a uno che si limitasse a spiegare la vita per come appariva, un divino buono da giocarsi nei salotti dei sapienti, un divino sensato e rassicurante, qualcosa apprezzato anche tra i pensatori alla moda, una religione in perenne dialogo con il mondo culturale e politico e sociale. Sono molti ancora oggi quelli che usano la fede per spiegare ogni cosa, intellettuali raffinati o furbi predicatori, prelati rampanti, dalle loro parole emerge un mondo perfetto e razionale dove credere è qualcosa di rassicurante e di coerente. Sono ciechi, e non lo sanno. O fingono di non saperlo. La fede scombina, costringe a vivere costantemente senza equilibrio, la fede è scandalosa, la fede è il reale che costantemente si apre sotto i colpi di insensati gesti d’amore, è come battere la roccia e veder sgorgare acqua nel deserto, credere è da folli!
Aprire gli occhi e trovare un mondo di ciechi. Non fu per niente facile. Non mi riconoscevano più. Io gridavo “sono io, sono io!” e loro negavano, mi negavano, non rientravo nei loro schemi. Avrei dovuto chiudere gli occhi, tenerli chiusi, rimanere cieco, per non scombinare la loro idea di mondo, e la loro immagine di Dio. Perché questo è il problema. Quanta cecità anche oggi, quanti occhi che vengono chiusi, quante identità negate pur di non mettere in discussione l’esistente, pur di non abbandonare rassicuranti tradizioni, pur di non dover ammettere di essere ciechi, di averli chiusi da tempo gli occhi, in cambio di una vita tranquilla. Obbedienza la chiamano, invece è paura cieca e perversa. La fede è scomoda, la fede è rivoluzione in atto, è decostruzione continua dell’esistente, l’incontro avviene nella crisi.
Poi iniziarono a litigare, era sabato certo e Lui lo sapeva, li stava provocando, qualcuno finì dritto nella trappola, la regola nata per liberare l’uomo veniva citata per inchiodare a presunto errore quello che io ormai sapevo essere il Messia. Incapaci di lasciar fluire la vita, di lasciare che l’estro di Dio smarginasse dai confini rassicuranti del conosciuto. I ciechi che credono di vedere hanno questo vizio di mettere argini, di alzare muri, di impedire alla vita di scorrere e travolgere e trasformare. Cosa è la verità? Come comprendere se un atteggiamento è giusto oppure no? Basta vedere se porta o riporta in vita. Basta guardare bene negli occhi di chi hai davanti, se si aprono certo, ma anche se si illuminano a nuova felicità, guardare chi hai davanti, imparare da lui, se il suo agire diventa benedicente, se è grato il suo parlare, se e gravido il suo sogno, questa è la verità, lui, il cieco che ora riacquista la vista è la verità, questo è il sogno del Creatore, questo è essere sua immagine e somiglianza.
L’errore? E’ la paura, quella che prese il cuore dei miei poveri genitori, che si sentirono chiamati in causa in un gioco più grande di loro, poveri, avranno maledetto Colui che mi aveva tolto le squame dalle pupille, non li incolpo, mi hanno fatto pena, una vita intera a obbedire, una vita intera ad aver paura, a rimanere nascosti, una vita intera a chiedere perdono a Dio per i peccati commessi, per me, che ero la pena evidente che sanciva il loro errore, una vita intera da inadeguati, una vita in trappola. Ciechi erano loro, perché la paura chiude gli occhi. Ma non lo potevano sapere.
Alla fine io provai a provocare quel mondo dagli occhi e dal cuore chiuso. Parlavano troppo. discutevano troppo, erano effettivamente in difficoltà. E io sapevo cosa li avrebbe guariti, bastava riconoscersi ciechi.
Sarebbe anche oggi la soluzione a tanti problemi: basta dirlo. Che siamo ciechi, impauriti, spaesati, sbagliati… basta dirselo davvero, e accettare di farsi scardinare, e sperare di incontrare il Dio del disordine, quello che smuove le apparenze per lasciar emergere l’Inedito. Ma ammetterlo significa morire, accettare di perdere tutto, non sapere cosa apparirà dopo. Solo i disperati come me possono accettare il rischio senza troppi ripensamenti. Da cieco certificato io sono stato felice di essere stato uno che non aveva niente da perdere.
Poi lo incontrai, Lui, Cristo, ci guardammo negli occhi, mi avevano cacciato fuori e lui era uscito dalla città a cercarmi. Tutti e due espulsi. Cacciati dalla città, cacciati dai loro occhi, non volevano vederci. Che finale ridicolo, pensai, io ci vedo e loro non vogliono più vedermi.
Quando poi, tempo dopo, lo vidi crocifisso, cacciato definitivamente fuori dalla città arrivai a pensare che un mondo così forse è meglio non vederlo per niente, che la cecità di un tempo mi avrebbe preservato dal dolore. Forse è per questo che la gente non vuole vedere, mi sentii ingenuo a non averlo capito prima, la gente non è cattiva, ha giustamente paura di soffrire, si protegge, le palpebre custodiscono dalla troppa luce. Mi sentivo stupido, ingenuo, avevo capito in ritardo il rischio dell’amore. Il rischio della fede.
Ma ormai i miei occhi erano aperti, in un mondo di ciechi, avevo ormai accettato il rischio di farmi ustionare dall’Amore.
Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 9,1-41 In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va' a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa "Inviato". Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l'elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L'uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: "Va' a Sìloe e làvati!". Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov'è costui?». Rispose: «Non lo so». Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest'uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c'era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l'età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l'età: chiedetelo a lui!». Allora chiamarono di nuovo l'uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da' gloria a Dio! Noi sappiamo che quest'uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l'ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell'uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori. Gesù seppe che l'avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell'uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: "Noi vediamo", il vostro peccato rimane».