Piccoli ladri d’amore Trentunesima domenica anno C

Piccoli ladri d’amore

XXXI domenica del Tempo Ordinario C (Luca 19,1-10)

 

Poi ci sei salito tu sul sicomoro del Calvario,

ti sei aperto tu

e slabbrato, come frutto maturo d’eccessi

a smarcire sulla folla

una dolcezza malvoluta

a dissanguare polpa sulle membra impaurite e violente

della gente che non riesce,

non riesce proprio,

a farsi amare.

 

Perché non mi hai lasciato

Cristo!

a Gerico

nella chiusa città

tra mura ancora intatte

sorde ad ogni miracolo?

 

Perché non mi hai lasciato piccolo e cieco e ladro

a vivere la mia vita

da mela perennemente acerba

perché hai voluto prendere il posto mio?

Perché ti sei voluto rimpicciolire

e mutilare

e annientare

perché ti sei voluto fare me?

Perché non mi hai chiesto il permesso

di concederti il trono dei peccatori?

 

Io mi sarei colto da solo

senza farmi vedere da nessuno,

scendere dal retro della vita

e non inciampare in quell’improvvida conversione

di promesse moltiplicate,

io costretto da quel giorno a dover alimentare

lo stupore di chi malediceva me

io costretto a sopportare,

fingendo di non sapere,

le speranze di chi presidiava il varco

dove avrei di nuovo tradito.

 

Tu fosti la mia condanna

a camminare per dimostrare la tua misericordia.

Mentre tu silenziavi, io subivo

la gogna della testimonianza.

 

Credo, quel giorno, d’esser stato usato

di aver confuso le acque per te

di aver spostato l’attenzione,

mentre gli altri stupivano dei miei giuramenti

tu salivi al posto mio

sull’albero dove

nascosto

e piccolo

e assediato

frutto di frantumato amore

nel tradimento

avresti sussurrato

per l’eternità

il nome del volto del Dio che amavi.

 

Ti sei servito di me

io in pasto alla folla

io ostaggio della curiosità

io cannibalizzato

reliquia da mostrare

io la vera prova dell’esistenza di Dio

tu l’eclissato

inciso nella scorza del legno del sicomoro

silenzioso e inutile

spremuto nel Getsemani

sbucciata la tua pelle alla colonna

spolpato sulla croce

vomitato infine sul monte Cranio.

 

Mi hai promesso salvezza

mi hai donato la pena

di dover reggere il peso delle attese

di dover trovare qualcun altro da disarcionare

da dare in pasto alla religiosa bramosia dei segni.

Mi hai promesso salvezza

io mi sono sentito perduto, consegnato

tradito.

Una vita intera

per farmi dimenticare.

 

Dietro di me il ricordo di un momento

e lo stupido stupore di chi

credeva per la mia sciocca carità e non ancora

per te

per il tuo silenzio

per te che ancora muori

dall’alto di un muto sicomoro

che ti nasconde

a chi non comprende

che io ero già l’amato

ancora prima della conversione.

 

La mia salvezza fu di tornare

finalmente,

alla fine,

sul sicomoro a forma di croce,

la mia salvezza fu di ritrovarti lì

e inchiodarmi a te:

due piccoli ladri d’amore.

 

 

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là.
Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!».
Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto».
Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».