Una vita nuova Trentaduesima domenica del Tempo Ordinario C

Crocetta 4.11.22

Una vita nuova

XXXII domenica del Tempo Ordinario C (2Maccabei 7 e Luca 20)

 …ci risusciterà a vita nuova ed eterna”, in questi giorni ho pensato molto alla frase di uno dei fratelli citati nella maestosa storia del libro dei Maccabei, prima lettura di domenica prossima. Storia di martirio eroico, di grandi parole sigillate con il sangue e con la morte. Ho pensato a quella frase e forse per la prima volta nella vita mi accorgo di quel “nuova” posto accanto ad “eterna”. Che una vita eterna non basta, serve una vita nuova. E mi prende la paura, come succede davanti a tutto ciò che non si consoce.

Una vita nuova, non solo eterna, che poi è la visione che manca ai sadducei del Vangelo e, forse, anche a noi, quando parliamo di eternità. Come se la vita eterna fosse solo la prosecuzione delle logiche di questo mondo, come fosse solo la stessa vita di qui ma senza fine. La storiella inventata dai sadducei è significativa… una donna che non ha figli ma che è moglie di sette fratelli, di chi sarà moglie nell’eternità? Se l’eternità fosse solo prosecuzione del presente sarebbe davvero un problema. Ecco perché serve la “vita nuova”. Drammatica una vita in cui eternamente siamo chiamati a elemosinare un amore che non basta o un figlio che non arriva. Infernale sarebbe il ripetersi eterno di una pienezza che sfugge sempre.

Ma la vita nuova fa paura. Come ogni novità.

Mi spaventa Signore pensare a una “vita nuova” perché, come ogni cosa nuova, non so come sarà, perché non so come sarò io davanti a un mondo cambiato, a riferimenti non più abituali. Ho paura Signore di ciò che è nuovo, non mi resta che ricordare ciò che è stata la mia vita con te, non mi resta che fare memoria dei piccoli e grandi cambiamenti in cui mi hai accompagnato, non mi resta che chiederti ancora di ripetermi l’evangelico tuo mantra “non hai ancora fede? Non avere paura, io sono con te”. Forse la vita che abbiamo da vivere non serve ad altro che a costruire una memoria abitata dalla Tua presenza, forse la paura non mi abbandonerà mai, però spero di imparare sempre più a sentirti accanto, a sentirti dentro, qui e ora, vivo, a presidiare anche le mie paure.

Mi fa paura Signore una vita nuova perché ci sono cose di questo mondo che non voglio perdere, perché ci sono cose che vorrei solo ritrovare, perché ci sono aspetti che mi piacerebbe fossero solo semplicemente eterni, cioè uguali a quello che sono ora, uguali a quello che sono stati, immutabili, rassicuranti. Mi basterebbe ritrovarli identici a come li ho lasciati, a come quando mi hanno lasciato. E tu sai, Signore, di chi sto parlando. Serve fede, tanta fede in te, per pensare che possa esserci un amore ancora più grande di quello provato qui in alcuni momenti della vita, ci vuole fede per credere che anche l’amore più profondo vissuto qui lo ritroveremo, lo riconosceremo, ma liberato e perfetto, infinitamente pieno.

Mi fa paura Signore una vita nuova ma credo anche mi faccia più paura il ripetersi eterno dell’identico. Tu sai dell’inquietudine che mi abita il cuore, tu sai che ogni cosa che vivo mi sembra spesso solo la ripetizione di un passato che non mi stupisce più, tu sai che mi costa dirlo, scriverlo, ammetterlo, ma di ogni cosa ormai vedo subito il limite, ne annuso la morte, ne riconosco il bordo. Sai che mi abita un senso di “già visto”, di “già vissuto” che spesso mi spaventa, mi sento vecchio, a volte perfino cinico. Tutto ciò che viene spacciato per novità a me sembra solo la ripetizione di qualcosa che ho già vissuto. Tu sai che non mi piace questo pensiero che mi abita, ma se serve a sperare novità, a elemosinare una sorta di divina rottura della ripetizione, a imparare a credere che l’eterno sarà come nascere a vita nuova, che sarà come partorirsi definitivamente, se questo pensiero serve a imparare la lingua inedita degli angeli allora ti supplico, non risparmiarmi la malinconia, mostrami il volto terribile del tempo che se dovesse ripetersi per sempre uguale sarebbe nient’altro che inferno.

Mi fa paura Signore la vita nuova, donami allora la fede di credere in un mondo in cui, come dici tu, gli uomini “non possono più morire”. Qui ogni cosa muore e morendo parla di te, porta a te. Qui ogni cosa muore e morendo la sento come una supplica, preghiera che porta al tuo cuore. Qui ogni cosa muore perché ogni cosa rimanda all’Eterno, perché ogni cosa e ogni persona, incamminandosi verso di te, è come se ci prendessero per mano, come se  indicassero la via, come se  ricordassero che non siamo fatti per restare. La morte è un invito a farsi partorire, nuovamente, per sempre. Qui ogni cosa muore perché non ci sei Tu. Ma quando saremo in Te la morte non avrà più senso, avrà esaurito il suo splendido compito. Signore se la vita nuova è amare senza poter più morire, aiutami già qui, ora, a morire d’amore.

Dal secondo libro dei Maccabèi
2 Mac 7,1-2.9-14
 
In quei giorni, ci fu il caso di sette fratelli che, presi insieme alla loro madre, furono costretti dal re, a forza di flagelli e nerbate, a cibarsi di carni suine proibite.
Uno di loro, facendosi interprete di tutti, disse: «Che cosa cerchi o vuoi sapere da noi? Siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire le leggi dei padri».
[E il secondo,] giunto all’ultimo respiro, disse: «Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re dell’universo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna»...
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 20,27-38
 
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: "Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello". C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: "Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe". Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».