Basta poco (Levitico 19, 1Cor 3, Matteo 5,38-48 ) Settima domenica tempo Ordinario anno A

mozzacoda

foto: Mozzacoda

Liturgia Parola VII TO A

Basta poco

(Levitico 19, 1Cor 3, Matteo 5,38-48 )

Settima domenica tempo Ordinario anno A

 

“Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo.” (Levitico 19)

Eppure basta poco. La santità è davvero cosa poca, feriale, umile, che non può far paura. Quasi un consiglio mite, sussurrato, per non rovinarla questa miracolosa esperienza, questo respiro di respiri che ci rende fratelli, che chiamiamo vita.

Cosa poca la santità, come l’aria, l’acqua e la terra. Come il fuoco e l’alba e i capelli e le rughe. Come un giorno feriale che non spinge per farsi ricordare. Come un’opinione non urlata, come ciò che non sopporta di essere ridotto a “evento”.

Cosa poca e famigliare la santità, spingerla sugli altari è stata spesso blasfema scelta trionfalistica. Maschile, becera. Dio ci perdoni. Lei comunque scivolava via, mai reliquia di virtù, lei sanciva la vita, la raccontava, la cantava, non interessata ad altro se non a dire che questa stramba commedia umana restava scrigno di stupore.

“Non coverai nel tuo cuore odio contro il fratello” (Levitico 19)

Cosa poca la santità, come quando smetti di covare odio perché non ne puoi più di quello che stai diventando e allora inizi a scaldare nidi di compassione, a inventare gusci di custodia dell’umano, a riscaldare la vita altrui perché non si sciupi.

Non servono grandi cose per dire la santità, solo accorgersi di come l’odio, quando ristagna nello stomaco, stringe la voglia di vivere, rende acido il respiro e affannoso il cammino.

Santità è vivere, vivere vivendo, meglio che può, non per fare grandi cose ma almeno per non offendere chi all’Inizio ha avuto la brillante idea della Creazione.

Buona creanza la santità, come quando si riassetta il letto di una stanza che ci ha ospitato e si piegano gli asciugamani e poco importa se tutto verrà lavato, lo sappiamo, buona creanza. Io non so se voglio diventare santo ma avere il tempo e la tranquillità, appena prima di morire, di rifare gli angoli al letto, quello desidererei di sì.

“Rimprovera apertamente il tuo prossimo” (Levitico 19)

Poi aprire le finestre, e fare entrare aria e non nascondersi. “Apertamente”, dice Levitico, così vorrei imparare a vivere, per i rimproveri e per i complimenti, dire le cose apertamente, e Dio solo sa che martirio questa prova. Apertamente, senza nascondimenti, senza voler umiliare l’altro e senza morir di scrupoli. E sentirsi meno onnipotenti, e reggere l’urto dell’altro, che possa non capire è da mettere in conto, che ci si possa perdere anche. Che poi, a pensarci bene, anche qui, è atto di galateo, un minimo di gratitudine verso chi ci ha infilato tra le labbra questo canto capace di incantare l’universo che sono le parole. Santità è questo profondo rispetto per la parola, per ciò che si scrive e si dice, per il grande dono dell’incontro. Santità è lasciare alla parola di essere parola, è dire, apertamente dire, e accettare che l’altro non capisca, ma non tacere. E ascoltare, mi vien da dire, anche ciò che fa più male. Che a volte siamo noi gli offesi.

È cosa poca la santità, è evitare lo squallore delle vendette che tanto servono solo a moltiplicare odio e non riescono mai a rimettere insieme i cocci, è lasciare al vento il rancore, almeno per furbizia, per non rendere troppo pesante la vita. Poi sì, magari, imparare ad amare, prima di tutto ad amarsi, ma finalmente senza grande enfasi, con discrezione, come certi vecchi che non si dicono “ti amo” ma che si vogliono davvero bene, ed è grande cosa. Ecco, credo di essere stanco della parola “amore”, voglio imparare a “voler bene”, a stare accanto alle persone, provare a non appesantirmi di rancori, provare a vivere più leggero. Santità?

“Siete tempio di Dio” (1 Corinzi)

E lasciar andare, che non c’è tempo, che siamo Tempio di Dio, lo dice bene Paolo che poi aggiunge “tutto è vostro!” che è come quando in montagna trovi il coraggio di sentirti piccolo, lasci che il vento elenchi la secolarità degli alberi, permetti alle nuvole di spostarsi e lasci andare tutto e senti che il Tutto ti afferra, tutto è mio e io sono dell’Infinito. E il fascino è nel maestoso volo dei rapaci, ben oltre le sterili divisioni (“Paolo, Apollo, Cefa…”).

“…tu porgigli anche l’altra…” (Matteo 5)

È cosa poca la santità, è piccola, a raccontarla fai presto e fai presto anche a perderla. Bisogna tenerla allenata, perché la santità non è altro che la libertà. Come quando decidi di non opporre male al male ma lasci andare, porgi la guancia per mostrare che dalle tue mani non uscirà vendetta. Non perché sei buono ma perché sai che il male si nutre anche della violenza della vittima, perché se attacchi diventi complice. Perché all’urto della violenza puoi opporre un muro oppure uno spazio vuoto, un respiro, per lasciare che la rabbia si lasci accompagnare fino a possibile esaurimento. E quando, dopo essersi trasformata in lacrime, ti scoprirà ancora al suo fianco (dopo tratti di strada condivisi e debiti condonati) forse in quel momento sentirete l’intonazione della vita che ricomincia. Quella sì. si può chiamare santità.

VII domenica TO A 2020