
(Luca 16,19-31)
Ventiseiesima domenica Tempo Ordinario anno C
Per riuscire a raggiungere il cuore della mia identità cercherò, Signore mio, di spogliarmi delle vesti di porpora e di bisso a cui ancora mi aggrappo come fossero vele in grado di proteggermi dalle tempeste della vita. Cercherò finalmente di liberarmi dal bisogno di apparire giusto e buono. Mi sbarazzerò dell’antico vizio di voler apparire perfetto, soprattutto ai miei occhi. Che color della porpora possa essere solo il mio cuore ferito, svelato a se stesso, capace di riconoscersi nella verità della sua mediocrità.
Per riuscire a contattare la parte di verità più vera che mi abita, Signore mio, proverò a lasciare che la fame torni a gridare dal ventre dei miei bisogni, proverò a smettere di banchettare ai lauti banchetti delle impalcature di pensiero che sanno giustificare ogni cosa con precisione diabolica.
Cercherò di non fuggire la povertà, unico atto veramente rivoluzionario, addomesticherò la mia paura del dolore per lasciare che possa dimorarmi accanto, mi farò leccare le ferite da pensieri nuovi e randagi. Cercherò di proteggermi di meno, lascerò che la vita mi ferisca, che esploda in piaghe sulla mia vita, proverò ad aver meno paura di soffrire. Forse approderò, quasi relitto, sulla soglia di una porta, sarò fastidioso a me stesso, proverò la vergogna e giacerò nel rischio di credere di aver sprecato la vita. Che arenato io possa convincermi che solo così potrò bussare al tuo cuore. Bramoso di sfamarmi, come il figlio minore della parabola, bramoso di briciole, elemosinando vita, imparerò il vero suono della preghiera.
Per conoscere la mia vera identità imparerò a battezzare la morte come una grazia, per me e per la ricchezza che ancora mi appesantisce il cuore. Che possa essere finalmente sepolta ogni mia ingenua tentazione di fiera autonomia, che sprofondi negli inferi la tentazione di voler comprendere la vita stando a distanza dalla croce. Che bruci nei tormenti l’illusione che la felicità sia creare fossati tra me e la sofferenza. Tra me e la morte. Sprofondi finalmente negli inferi la mia paura di farmi ferire dalla sofferenza degli altri.
Per imparare il mio nome aiutami a non dimenticare mai il ricco che da oltre l’abisso mi implora di ascoltare Mosè e i profeti, che io sappia immergermi nella Scrittura, che possa battezzarmi definitivamente alla tua Parola.
Che dal luogo da dove la mia parte ricca stagna nei tormenti mi arrivi la supplica di crocifiggere presto il mio cuore al tuo, che dai morti sei risorto annullando la tremenda distanza.
Signore mio Dio, dal cuore di questa parabola, aiutami a comprendere che sono nulla se tu non mi chiami, che sono niente se tu non pronunci il mio nome, che tutta la vita è una possibilità per sprofondare nel cuore del mistero che sono, per scoprire che in fondo sono anche io Lazzaro, che significa “Dio viene in aiuto”, che significa essere tuo. Non ho altro nome, non voglio altro nome.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 16,19-31
In quel tempo, Gesù disse ai farisei:
«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».