Scintillante bellezza

(Lc 10,38,42)
Sedicesima domenica TO C

In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.

Ancora sorprende il villaggio
la vita in cammino
che accede dai colli.

Dar nome di Epifania
agli eventi che mi accadono
credere, fermamente credere,
che è sempre Cristo a incamminarsi in me
prendendo per mano gli istanti.

Resistere alla tentazione di fare del mio cuore
una tana, ripararsi,
per paura
fare loculo scavando

(Ma io, in fondo,
li vedo
scintillare di bellezza)

Così lui,
in cammino,
lui con i suoi discepoli,
suoi vivi accadimenti,
lui divina pazienza
acora
mi stana.

Il suo appello mi spinge all’azione
immediata,
le mani provano a dare forma al mondo,
oppure provano a mettere ordine,
non c’è molta differenza,
è comunque sempre un modo di ripararsi

la Marta che mi abita prende sempre la vita a piene a mani
valuta e decide e si muove
serve.

In cuor suo ringrazia di aver trovato
anche stavolta il modo di essere utile,
forse ha paura di sparire.

Ma non è vera accoglienza questa.

Cerco la parte di me che ha compreso davvero
cerco Maria che prega e che vive
a mani alzate.
Che il cuore della vita
è una resa clamorosa
amorosa
all’Eterno presente nelle cose.

Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.

Cerco Maria,
si è nascosta ai piedi del Mistero,
cerco in me la parte che altre volete si è lasciata attraversare
dallo scorrere del mondo
cerco colei che ne serba un ricordo buono
una sopravvissuta grata della grazia,
cerco in me colei che non è morta travolta.
Ma mi fa paura!

Tremo mentre grido
che lei non serve a nulla,
Maria rimane,
tace
e il Maestro le sorride.

Tramuto in preghiera la ribellione.
Il mio fare diventa una prigione
disfa in me qualsiasi sicurezza,
mi stanno scippando il senso delle cose.

«Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti».
Perché lo so,
è ancora la solitudine che mi ammazza
è sentirsi abbandonati a servire il niente
è non avere il coraggio di attendere,
di smettere, di lascarsi fare.
E quella maledetta paura di morire.
Perché Maria è già morta
è già risorta.

Così lo provoco il Maestro
ma solo perché possa chiamare per nome
la parte indurita di me
Marta, Marta,

tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».
Due volte, come una dolcissima vocazione
come una tenera carezza sul mio dibattermi

mi sento come pesce pescato
a riva
ma sento finalmente le sue dita calde,
il palmo del Creatore,
la libertà delle acque aperte.