E tu stringevi

(Lc 10,1-12.17-20)
Quattordicesima domenica TO C


In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Tu sei colui che arriverà,
me lo leggeranno negli occhi o prevarrà la mia triste e solita paura?
Saprò abitare con grazia
il tempo sospeso del non ancora?
Saprò amarti così tanto
da non temere un tuo tradimento?

Si fideranno di me,
ne sono sicuro, solo se pronuncerò parole piene di calore,
se a tremare sarà solo l’emozione per averti incontrato
e non l’antico terrore di essermi illuso. Se lascerò parlare te
soffocando il mio orgoglio.

A due a due,
perché se non sei di nessuno
il Vangelo appassisce sulle labbra.

Andavamo così,
tra le vie delle città
a battezzare il reale,
tentavamo di aprire le labbra al visibile perché tornasse finalmente a narrare l’Altrove.
Declinavamo la vita nei tempi dell’Infinito Presente.

Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!
Lui giurava che fosse il tempo della mietitura,
noi cercavamo di credergli.
Spesso le pupille si perdevano
in distese d’abbandono.
Se siamo stati anche solo vagamente credibili
era perché lui per primo aveva giurato di aver visto in noi sterminati campi di grano,
a noi che ci sentivamo così vuoti e inutili.

Avevamo uno sguardo da educare,
dovevamo imparare a vedere il frutto nel seme,
la primavera nell’inverno.
La vita nella morte.
Dovevamo imparare a guardare l’Avvenire
che respira nel cuore di ogni istante.

Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
Io i lupi li ho sempre avuti dentro,
si muove in branco il terrore. E ulula
di notte, e non mi lascia dormire.
Lui non mi disse che dovevo essere forte
non mi disse che dovevo vincere la paura,
non mi disse che dovevo combattere,
lui mi mandò come agnello
con i miei lupi dentro.

E non mi garantì nulla. Se non di fidarmi di un
disarmato amore.

Non mi avrebbero creduto se avessi portato una borsa,
l’amore è disinteressato.
Non mi avrebbero creduto se avessi portato una sacca,
l’amore è esposto ai venti e alle intemperie,
Non mi avrebbero creduto se avessi calzato sandali,
l’amore è credibile solo se procede ferendosi a ogni passo.
Non mi avrebbero creduto se avessi giurato su un amore
senza sangue.

Non crederebbero in Te
se ti costringessi in strutture funzionali e perfette,
se procedessi per piani pastorali e interventi educativi mirati,
se dimenticassi l’umiltà degli operai,
se ordinassi i preti
in nobile gerarchia,
se lasciassi proliferare i nuovi sacerdoti delle scienze umane tra le mura della chiesa,
farei del bene, certo,
ma crederebbero a me e non a te.

Se mi sembra di crederti Signore
è per quei rari e preziosi momenti in cui io non riuscivo nemmeno a salutare chi incrociavo per strada,
nemmeno a mangiare riuscivo,
afferrato da una fame d’Infinito,
in quei momenti sapevo d’avere il mio cuore tra le tue mani:
e tu stringevi.