Ieri alla stazione ferroviaria di Pontremoli

(appunti disordinati per una possibile preghiera) Battesimo del Signore 12 gennaio

In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti…

Gli occhi luminosi di un bambino,
quattro cinque anni,
alle sue spalle il nonno,
tanto basta a struggermi il cuore di nostalgia,
mi sembra di sentire, presente,
il profumo del giaccone di pelle del mio, di nonno,
mi stringo ai ricordi.

Obbedienti alla voce
entrambi non oltrepassano la linea gialla,
si trattengono felicemente in vita,
sembrano statuine di un presepe
appoggiate da delicata mano
sul marciapiede di una stazione,

intanto
sferragliare di treno in arrivo,
intorno binari semivuoti
pentagramma di viaggi quotidiani che non sembrano mai voler mutare in vere fughe,
patetici graffiti di metropoli sulla scorza metallica del vagone,
proteste colorate che nessuno tradurrà,
messaggi borghesi
lamenti educati

annunciato in perfetto orario
il treno obbedisce,
un respiro spalanca le fauci
rumore che il bimbo legherà eternamente alla felicità,
pochi passi, il nonno che pare tramontare
la madre che incede dall’alto
come fosse un’apparizione
la madre che si immerge,
battesimo,
a compiere l’abbraccio della natività.

(Ci sono giorni in cui non importa quanto sia didascalica la felicità)

Sembra quasi sia il bambino a sostenere la madre
in una capovolta pietà.

Io ho sentito una stretta al cuore,
per tutte le volte che dal treno pendolare
ho atteso mio padre arrivare,
e ogni giorno
arrivava puntuale
(forse per questo credo)
e ancora arriva
(forse per questo non dispero).

Non ho avuto cuore
per ordinare agli occhi di guardare fino in fondo
il profilo dell’incontro,
ho lasciato alle mie spalle madre e bambino,
ho però pensato
che quella fosse vera attesa da Vangelo
riscrittura di pagina sacra,
e che tutti,
in qualche modo,
attendiamo il ritorno di un amore,
di un pendolare affetto.

Viviamo come sospesi in stazioni secondarie
forse solo abbiamo paura di credere
con l’ingenua sicurezza di quel bambino,
forse abbiamo il cuore trafitto da fermate
che non hanno partorito affetti,
travolti da treni che, svuotandoci, si sono portati via la nostra ingenuità,
forse abbiamo solo paura di soffrire ancora,
e così non osiamo credere che le porte del treno non si apriranno più invano,
che i vagoni non passano solo a nutrirsi delle nostre amicizie passeggere.

Invece il bimbo è così sicuro! Lui semplicemente attende. E con lui tutto il popolo.
Ecco perché il vagone partorisce l’amore. Perché quel bambino attende.

«Io vi battezzo con acqua…
Intanto qui piove
e mi è doloroso bagnarmi di ricordi,
immergermi nel passato,
eppure è dolce
muoversi nel liquido amniotico
del tempo in cui ancora credevo d’essere solo buono,
e che vivere fosse sempre un dono,
e l’avvenire un’avventura da scoprire.
Io che a volte guardo il mio passato
e mi sembra vissuto da un altro.
Immersione che toglie il fiato,
trattengo il respiro
come a voler morire di gioia.

Quel bimbo tra le braccia della madre
io non ho avuto il coraggio di guardarlo,
non ho avuto il coraggio di immergermi in tanta dolcezza
non ho avuto il coraggio delle lacrime, non lì,
non in quel momento.

Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».
Così son tornato alla mia solitudine
infuocata
a questa fede che non consola
facilmente
a questo continuo battesimo feroce
come una croce. Son tornato a
condannarmi ad un’attesa enorme,
totale. Son tornato
nel mio silenzio
che sempre implora,
son tornato a lasciarmi bruciare nelle vene
il fuoco della speranza.
Che nel Padre
ogni cosa
possa finalmente tornare.

Son tornato a dirmi che ogni mancanza
non è altro che Vuoto implorante di Te.

Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo…
Poche persone scorrono via dai binari,
ognuno a riprendere la strada verso casa
e io a immaginare che anche tu Signore
fossi lì, al mio fianco,
anche tu battezzato da questa ordinarietà,
anche tu mischiato tra i nostri affari così
banali,
anche tu ad attendere che arrivi l’ultima fermata,
che il terno decolli su rotaie finalmente celesti,
anche tu a commuoverti
per un bimbo felice del ritorno a casa di sua madre.

Anche tu ad invidiare quel nonno,
vecchio sacerdote di liturgie umane,
sacralità di periferia,
ma ne esiste forse un’altra?
Una celebrazione altrettanto credibile?
Non sono solo queste le porte che aprono al giubilo?

…stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».
Tutto ieri divenne improvvisamente cattedrale,
sacro l’incedere trascinato dei passanti,
melodiose le parole immigrate,
nere e vicine,
straniere e comprensibili,
così il cielo sembrò aprirsi,
e quel bimbo non visto
a volare tra braccia materne
a cantare nuovamente,
colomba inconsapevole,
che nemmeno stasera il diluvio si mangerà la terra,
che il futuro è ancora possibile,
che vera lode è una madre
che stringe al petto il suo compiacimento.

Che Cristo ancora si fa battezzare tra gli affetti umani.