Ventiduesima domenica Tempo Ordinario anno B (Marco 7)
Ma che cuore abbiamo quando pensiamo che possano essere impure le mani? Che cuore abbiamo? Nemmeno quelle di Caino lo erano, solo gridavano a sangue il bisogno d’essere accarezzate.
Ma che cuore abbiamo quando non sappiamo che l’acqua ha una memoria e che nelle nuvole son tatuati i nostri corpi e che ad ogni stagione ci piangono addosso le piogge di ciò che non ci siamo perdonati?
Ma che cuore abbiamo quando pensiamo impure le mani di Eva e non capiamo invece la paura per quel giardino troppo perfetto che rubava perfino la grazia di poter morire?
Ma che cuore abbiamo quando le nostre labbra si scuciono dal cuore, e tramutano in interrogatorio l’alfabeto erotico del sacro e scendono in arena come se il Dio da innalzare fosse un toro da infilzare?
Ma che cuore abbiamo quando imponiamo segni dentro il cuore misterioso dei fratelli, quando sviliamo in lezione l’oscuro mistero della libertà, quando crediamo si possa spiegare ciò che chiede solo l’ombra calma del silenzio?
Ma che cuore abbiamo quando non capiamo che le tradizioni degli uomini spesso sono solo ristagni di potere?
Ma che cuore abbiamo quando in una melma che chiamiamo peccato, affoghiamo di paura la bellezza, quando preferiamo credere che il male sia solo minaccia e mai parto fedele alla nostra carne?
Invece siamo anche noi misere sorgenti di putridume, fonti inesauribili di sangue anche nostra è la paura del contagio, noi a scoprire che l’inferno si trova all’ombra di un cespuglio del paradiso.
Così mi consegno al tuo cuore trafitto dalla croce non posso far altro Tu, trapassato d’amore, sciogli, ti scongiuro, i grovigli delle mie impurità, riconsegnami alla gratuità dei cicli naturali, rendimi seminatore di vita, convincimi che sia possibile amare nella libertà, e regalare, e benedire, e custodirsi, e compatire.
Ma se non puoi, amato cuore mio da me inchiodato, almeno prendimi tra le tue mani, e taci, con un bacio, le mie labbra impaurite consegnami al silenzio e abbi sempre pietà dell’uomo che sono.
Dal Vangelo secondo Marco Mc 7,1-8.14-15.21-23
In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?». Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».