In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Attorno a quei talenti io ci ho perso la vita. Spesso li ho contati, a volte li ho maledetti, ho ringraziato per averli avuti in dono ma è successo che li ho anche nascosti. Poi li ho dissotterrati. Mi ci sono specchiato, ti ho cercato in loro, li ho consumati in punta di dita sperando di riconoscere al tatto il tuo profilo inciso. Puoi dire tutto di me ma non che io ti abbia mai ignorato.
Un conto è nascere un altro è aprire le mani e sentire il peso dei tuoi averi che mi trafiggono come chiodi, non ho dubbi, sono legato a te, crocifisso, tu sei il mio padrone, il mio signore, il mio padre, il mio amato, la mia dolce condanna, il mio tutto. Tu sei il mio Dio. E non ho vergogna a usare questo termine, “Dio”, che dice e non dice, che svela e nasconde, che condanna alla dolce tentazione dell’eterno. Tu sei il mio Tu.
Apro le mani e mi specchio, nei talenti io mi specchio, me li hai consegnati secondo le mie capacità, io non saprei chi sono se tu non ti fossi affidato a me, raddoppiarli, che siano cinque o due o anche uno solo non è investimento ma esercizio di ricerca, affinamento di identità in un affidamento reciproco: tu in me e io in te. Senza di te io non saprei nulla di me.
Lo sai a volte li ho anche sotterrati i miei talenti, non ho mai avuto paura di te ma ti ho sentito invadente, rapace, avrei voluto fare a meno di te, sapere il mio volto senza ogni volta dover dipendere dal tuo sguardo, li ho seppelliti i talenti, ho scavato buche e ci ho messo lapidi, poi mi sembrava di camminare in un cimitero. O in un campo minato, vivevo come un morto.
Puoi dire tutto di me Signore, puoi dire che non ho capito, che sono stato ingenuo, che non sono riuscito a portarti agli altri come avrei potuto, hai ragione, ma una cosa non puoi negare: non sono mai riuscito a chiuderti fuori dalla mia vita, non sono mai riuscito a non parlarti, a non implorare che tu mi parlassi, non sono mai riuscito a ridurti a un’idea da spiegare, a un teorema da dimostrare, a un’energia impersonale presente nel cosmo. Tu sei il volto dove io mi ritrovo, Tu sei il profilo dove io mi smarrisco, Tu sei il mio Tu senza il quale io mi dissolvo. Incarnato amore.
Mi hai messo talenti tra le mani e poi hai lasciato che il tempo facesse il suo corso, che si dilatasse, che si muovesse lento. Così rigiravo quelle monete e tornavo al momento della consegna, tu me li avevi consegnati e quelle monete dicevano di me, costruivano la mia identità giorno per giorno, quelle monete erano segno di quello che sarei dovuto diventare io: un consegnato. Quelle monete sono io, io sono i talenti, perché sono certo che non sono fatto per finire sepolto in una buca, nascosto e dimenticato, io sono fatto per consegnarmi alle tue mani, che mi afferreranno per l’eternità. Perché già lo stanno facendo, perché io sono tuo, mio Dio, mio amato, mio tutto.
Matteo 25 ...Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: "Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque". "Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone". Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: "Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due". "Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone". Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: "Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo". Il padrone gli rispose: "Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti"».