Francesco Canto di una creatura di Alda Merini
Dio come sono diventato cieco
dopo tanti sguardi d’amore:
non vedo più nulla,
oppure vedo troppo,
oppure sono così accecato dal sole
che non posso non stendere un tappeto
per questa valanga rutilante di fede.
Invaso dal tuo Spirito, Signore,
anche se non ho abito
sento il calore del sole.
Come il sole scalda
questa misera terra del tuo servo,
questa terra d’argilla
fonte di peccati di fughe!
Il martirio di Francesco è quello che trasforma l’uomo che ha visto nell’uomo che non vede più, nel cieco. Oppure nell’uomo che vede troppo, che vede Dio, sono così accecato dal sole. Questo converte, vedere uno come Francesco che si lascia ustionare le palpebre da una luce che noi abbiamo paura di incrociare, vedere in un uomo come Francesco l’uomo che ha cantato la vigna, che si è trovato nell’attimo esatto in cui prima si è lasciato affascinare dal Padre e poi è diventato Lui, ustionato d’amore, trafitto dal sole, uno con l’Uno in un rogo finale in cui tutto si illumina di una Luce senza tramonto.
Possono essere solo parole vagamente romantiche quelle che definiscono Dio come l’innamorato sulle tracce dell’uomo ma se si cede a questo richiamo, se si entra nella vigna, luogo di innamoramenti, fonte di ebrezza, rimando all’erotico vino delle alleanze, se si accetta di entrare, di lasciarsi trapassare, di diventare sguardo del Suo sguardo, se si trasforma la propria pelle in una pergamena e ci si lascia incidere a fuoco di carboni ardenti, se ci si tatua il suo amore, se di diventa Lui, ci si converte a una nuova Verità.