Preghiera di un povero cristo. Pasqua

Crocetta, 16.4.22

Preghiera di un povero cristo

Pasqua

Quando era ancora buio, come quando si pescava vita dai bordi di un lago, come quando si amava senza riuscire a dar nome di Eterno a ciò che sempre sfuggiva.

Quando era ancora buio, come quando Lui parlava e noi si credeva di capire, e noi si credeva di credere, e continuavamo, invece, cocciuti e ciechi, a perderci in noi stessi.

Quando era ancora buio e volevano ammazzarlo e noi neanche immaginavamo di essere loro compici e non suoi compagni.

Quando era ancora buio come negli occhi del cieco, come le mani aride, come le parole mute, come le paralisi, come la donna accusata, come il giovane che se ne andò, come il figlio che rimase fuori dalla casa, come Lazzaro dietro la pietra di un sepolcro… e noi inconsapevoli di essere testimoni di vita risorta nel perdono come nella cura.

Miracolosa la vita che rinasce alla luce.

 Quando era ancora buio, come anche dopo la sua Resurrezione, nei baratri della malattia, nelle paure dell’abbandono, nel dubbio che il cadavere fosse stato solo rubato, negli amori tramutati in odio, nella fatica di cedere ad eccessiva meraviglia, nelle incomprensioni tra noi discepoli, nelle interpretazioni contrastanti del suo ricordo, negli scandali della chiesa, nella pochezza che mi attraversa in certe giornate, nella paura che la morte, alla fine, cannibalizzi l’amore. Nell’avere fede solo nel disfacimento visibile del cosmo.

Per quando era ancora buio, per quando ancora mi soffoca gli occhi.

Per questo mi ostino a celebrare la memoria dei lampi di Eterno, mi aggrappo con forza alle fratture miracolose che rendono il passato attraversato da lame di Luce, per quella consapevolezza limpida e fuggente che ogni essere è manifestazione barcollante del divino, per quando mi hanno fatto sentire amato, per quando mi hanno perdonato, per chi mi ringrazia di quel che son stato. In questo sono creduto. E mi consolo.

Per quando scende il buio e io, a un passo dalla notte, avvolto dalle lacrime, chiedo al Padre che salvi e trasfiguri ogni brandello d’amore, quel poco che ho riconosciuto e consacrato con gesti laici e sfrontati, per quando nel buio prego che ci sia un posto anche per me, ladrone d’amore crocifisso a troppi errori, per quando sento di essere muta preghiera condivisa dai fratelli, per quando sento che insieme speriamo in una terra dove tutto finalmente sarà limpido e puro, luminoso e risorto, ricordato, consegnato al cuore dell’Eterno, trasfigurato in Luce. Per quando prego di non essere dimenticato, per quando ti prego di farmi ritrovare l’Amore che mi ha tenuto in vita, e ti scongiuro, ti scongiuro: che non se ne vada mai più.

Per quando anche noi riusciamo a dire “…e non sappiamo dove l’hanno posto”. E non resta che tornare a cercare. Per quando non sapevamo che stesse nascendo fuori Gerusalemme, per quando lo smarrirono nel tempio, per quando fuggiva dal potere, per quando oltrepassava la riva, per quando si rifugiava nel grembo della notte in preghiera, per il monte degli Ulivi, per il suo essere sempre Altrove. Per la paura di chi dice di averlo compreso, per il tradimento di chi si crede di poterlo spiegare o comprimere in un sacramento, in un catechismo, in una teologia, per chi è costretto a scrivere ogni domenica su di Lui ma tra le righe implora che si abbia pietà, che nemmeno lui conosce il luogo, e che è solo un povero cristo in ricerca.

Nemmeno io so per certo dove l’hanno posto, ma che credo nel Suo essere riposto in luoghi segreti e accessibili solo all’amore.

Correvano tutti e due insieme, e il fatto di non essere soli già è un indizio di buona umanità. Per quando la fede entra nella carne e ci tramuta in bambini senza paura di apparire ridicoli, e corriamo, goffi e innamorati, e rischiamo di cadere e il fiato stringe la gola, e siamo gli stessi ragazzini che correvano dietro a un pallone, dietro a un amore, dietro a un sogno. Il cuore gonfio che non smette di battere. Ci commuove. Per quando corre il pensiero, corre la nostalgia, corre la speranza che non sia stato tutto inutile, per quando corre l’urgenza di vedere, di toccare, di riabbracciare, fosse anche un sepolcro vuoto, fosse anche l’assurda speranza di essere stati vivi e testimoni, per quando osiamo credere che perfino la morte si tramuterà in sorriso, ad aprirsi, come si aprì il mare a travolgere l’esercito armato dai nostri stessi dubbi. Che venga spazzato via finalmente il terrore che Tu ci abbia tradito, ci abbia illuso, ci abbia usato.

Per i teli posati e ripiegati, per quella traccia minima di ordine in un mondo che sembrava devastato e ridotto al caos, per i chiodi che non hanno vinto, per il legno che non ha prevalso, per lo strappo nel telo del tempio che trasformò, a nostra insaputa, la nostra esistenza in un lungo travaglio. Per l’erotico e fecondo squarcio della tua ferita aperta, per l’ardore della carne che non smette d’amare nemmeno trafitta, nemmeno cadavere, per il profumo sparso, per il vaso di nardo andato in mille pezzi come la pietra che sigillava una apparente sconfitta. Per i teli posati, per la cura invisibile di chi mette ordine alle nostre storie scombinate e dice, con parole risorte, che non è stato inutile il nostro amare, il nostro soffrire, il nostro dubitare, il nostro correre contro ogni speranza.

Per chi vide e credette senza ancora aver compreso la Scrittura. Per quando lui ci guardava senza condanna, per quando lui credeva nonostante la nostra pochezza. Per chi ha saputo posare i suoi occhi su di noi riuscendo a vedere splendori ben prima di una possibile alba. Per chi ha conservato amore, per chi non ci ha dimenticato, per chi come reliquia ha creduto nella nostra resurrezione, per chi vedeva in noi ciò che noi ancora non immaginavamo di essere.

Per questo ti prego Signore, che risorgano i miei occhi, che sappia riconoscere i segni del tuo passaggio, che possa farne memoria, che possa risorgere ancora una volta negli occhi di chi mi ama, per le persone che incontrerò, perché si sappia entrare insieme nei nostri sepolcri e tenendoci per mano, inermi e deposti, si riesca a tornare a cercare chi, con pazienza materna, ha posato definitivamente il sudario del nostro smarrimento e accarezzandoci con tenerezza di padre mischierà il calore delle sue lacrime alle nostre.     

 

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 20,1-9

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all'altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario - che era stato sul suo capo - non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.