In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!». La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.
Non voglio più vedere Gesù
(Giovanni 12,20-33)
Quinta domenica di Quaresima anno B 2021
“C’erano anche alcuni Greci (…) e gli domandarono -vogliamo vedere Gesù-”
Andate voi a vedere Gesù, a me non interessa più. Accompagnate voi i Greci, io non ne voglio più sapere del Nazareno. Sono esausto di tutte le interpretazioni. Andate voi a cercare di vedere Gesù. Scegliete il vostro Gesù e difendetelo. L’ho fatto per tanto tempo anche io, è stato utile, inevitabile, indispensabile, ma ora non mi basta più. Scegliete il teologo o la comunità o il predicatore di riferimento, scegliete l’artista o il regista che secondo voi lo ha descritto meglio, io ho la nausea di essere dalla parte di Pasolini contro Zeffirelli, non ne posso più di essere contro, mi sembra esercizio stupido e sterile. Ogni interpretazione non è altro che la narrazione del narratore. I volti di Gesù sono tanti quanto le persone che parlano di lui. E io li ringrazio, ma non mi basta più.
Gesù di Nazareth è irraggiungibile, e se fosse raggiungibile sarebbe un ostacolo. Beato chi non ha visto e crede. Questo mi martella il cervello e il cuore. Andate voi a scomodare Filippo e Andrea, scortate voi questi Greci curiosi che non hanno capito che vederlo vivo, in carne e ossa è il modo migliore per perderlo. A cosa serve credere in un uomo che si chiama Gesù? Un idolo ulteriore. Ci si crocifigge all’immagine, ai ricordi, ci si crocifigge al crocifisso.
Duemila anni fa, in quel fazzoletto di terra abitato dal Nazareno tutti credevano in lui, tutti lo vedevano camminare, tutti lo sentivano parlare, come potevano dubitare dell’esistenza di Gesù? Ma non basta.
“E’ venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato”
Sono troppo vecchio per continuare a voler vedere Gesù, la vita ha affondato i suoi denti nella carne, la morte, quella sì, si è mostrata ai miei occhi, e così il solo Gesù non mi basta più. Adesso è l’ora della Gloria. Io pretendo di incrociare, per non impazzire di dolore, per non sprofondare nel rancore, occhi che hanno visto la Gloria. Io non voglio vedere Gesù, io ho bisogno del Vivente, di Cristo, del Risorto. Qui, ora, adesso. Il ricordo di Gesù non mi basta più, a cosa serve se non sento il suo respiro baciarmi nelle vene?
“Se il chicco di grano caduto in terra non muore”
Voi mi avete parlato sempre e solo del chicco di grano, mi avete estenuato parlandomi di lui e aggiungendo il capitolo finale della resurrezione, finale spesso inutile, Gesù era così bello già sulla croce, eroico e visibile. Quando la vita è sotto controllo Gesù basta.
Innamorato di Gesù, innamorato di ciò che aveva detto e fatto, di quello che immaginavo essere stata la sua vita, ero perso per il Nazareno che, guarda caso, era proprio conforme ai miei desideri, ai miei ideali, alle mie prospettive. Perché non mi avete detto, come ha fatto lui con i Greci, che l’immagine che avevo di lui doveva cadere a terra e morire? Perché nessuno ha il coraggio di dire che non serve a nulla continuare a credere solo nel seme, che il seme è prezioso solo perché si compromette e si perde, solo per il frutto, solo perché massacra la sua immagine di seme? Se vuoi il frutto devi perdere il seme. Se vuoi Cristo devi perdere Gesù.
Chi ha il coraggio di dire che questa cosa vale per tutti, proprio per tutti i viventi? E se fosse questo il vero scandalo della fede?
Io non voglio vedere Gesù io ho estenuante bisogno di credere nel Cristo Vivente e Risorto qui e ora, per non morire prima di arrivare, per non cedere prima dell’Eterno, per non considerare la storia una tragica farsa.
Se il chicco non cade a terra e non muore rimane solo… un chicco. E a cosa serve un chicco se non muore? Se non perde la forma di chicco? Se Gesù non cade a terra e non muore rimane solo Gesù, e serve a poco, a niente, solo il ricordo di un grande sognatore. Io ho bisogno del frutto. Vita trasfigurata e risorta. Perché non mi basta questo chicco mortale che sono, perché considero i ricordi di chi è morto solo la tragica illusione dei mortali io ho bisogno di sentire frutto vivo e dolce, già qui e ora, l’amore di chi mi ha preceduto.
Questa vita non è altro che un seme, smettete per favore di ringraziare il Signore e la Madonna per ogni volta che viene prolungata a suon di pseudo miracoli l’esistenza terrena, a cosa serve continuare a essere seme? Unico miracolo è morire, è farlo morire quel seme, unico miracolo è morire perdendo la forma che siamo, unico miracolo è morire per amore, è morire portando frutto, è morire seguendo la traiettoria di Cristo, è morire consegnandosi. Unico miracolo è la trasformazione del chicco che siamo nel frutto imprigionato sotto la scorza, la vita è solo la gravidanza del frutto, il resto non conta nulla. Unico miracolo è imparare a morire.
Certo che è difficile, siamo animali istintivamente attaccati alla conservazione della specie, abbiamo paura di perdere i legami, amiamo il seme che siamo, adoriamo i chicchi di grano tanto da convincerci che il seme sia già frutto, che Gesù sia già il Risorto. Invece la porta è stretta ed è per tutti, attirerò tutti a me, la sua forma è la croce, inevitabile la morte del seme, unico passaggio di salvezza.
Se il chicco Gesù e tutte le sue immagini non continuano a cadere nella terra e a morire, se non accogliamo la morte come porta pasquale alla vita saremmo sempre e solo adoratori delle nostre proiezioni.
Perché Signore è così difficile far tacere le immagini?
Perché non troviamo il coraggio di lasciarci raggiungere dalla Tua voce che viva chiede solo di poter infrangere la parete delle nostre paure?
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».
Nostalgia d’eresia
(Giovanni 3)
Quarta domenica di Quaresima anno B 2021
“Vi era tra i farisei un uomo di nome Nicodèmo, uno dei capi dei Giudei.Costui andò da Gesù, di notte”
Non sentite anche voi nostalgia di una notte? Di tornare ad essere frastornati da un amore inatteso, sconvolgente, complesso ed esigente? Non sentite anche voi nostalgia di Nicodemo e del suo coraggio?
Non sentite anche voi il bisogno di riappropriarsi della notte, di una fede che preveda lo smarrimento, il freddo, la lotta? Di una fede che non finga di non vedere le paure che ci portiamo dentro, che accetti il rischio di non riuscire a sfogliare in luce di resurrezione le lamiere che incartano il nostro cuore? Non sentite anche voi il bisogno di essere presi sul serio?
“Come Mosè innalzò il serpente nel deserto”
Cosa è rimasto di quel serpente inchiodato alla croce? Cosa è rimasto ora? Insegne luminose, farmaceutiche cosmesi, liturgie analgesiche, estetiche interpretazioni. Ma davvero non meritiamo almeno un eretico, uno solo, uno che prenda a sassate il neon rassicurante e che ci riporti alle notti, vere e severe dell’incontro con la Sua Parola?
Ma gli eretici hanno la fede che strappa la carne e sfigura il sistema.
E lo stiamo pagando ormai da tempo il prezzo di pastorali svuotate, di spazi parrocchiali aggregativi dove invece la Spada del Verbo doveva disgregare e ferire. Aprire. Non abbiamo creduto davvero che nel Tempio alla Madre fu detto che lui era spada a trafiggere i cuori.
Davvero dobbiamo continuare ad accontentarci di queste provocazioni tenere da saltimbanchi? Non possono fare di più, capite? Non possiamo pretenderlo da loro, che si mascherino pure ma non chiamatela blasfemia, è la tenera impotenza del chierichetto che canta il capriccio di non essere stato accolto nel coro. Tenerezza. E tenero pure chi crede di riparare con antiche litanie.
Davvero dobbiamo accontentarci delle beghe di cortile e di teologi sorridenti e catechismi leggeri? Non sentite anche voi nostalgia di pensiero, di contenuto. Confronto sulla fede e su questa vita sanguinosa. Non sentite anche voi che serve una fede in grado di reggere il confronto con le bare sfilate sui mezzi militari l’anno scorso sull’asfalto della mia terra d’origine? Nostalgia di un corpo a corpo con la Verità.
Io credo che almeno per pietà qualcuno potrebbe provare un pensiero avvelenato, uno di quelli che fanno paura, striscianti, da inchiodare alla croce, qualcuno potrebbe avere pietà di noi qualcuno scorretto e totalmente solo, libero, qualcuno che accetti la vocazione di farsi inchiodare. Come serpente nel deserto, almeno per farci alzare lo sguardo, almeno per un attimo. Ci sarà qualcuno con una fede così grande da osare l’eresia?
“Bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna”.
Vorrà pur dire ancora qualcosa questo Figlio innalzato Crocifisso in luminosa Ascensione? Non sentite anche voi la nostalgia di questo amore scandaloso? Amore lacerato immerso nel liquido amniotico del male, Calvario incatramato da bestemmie di alto livello teologico “scendi dalla croce”, dicevano, e ci credevano. Bisogna credere tanto perché la bestemmia non sia solo cattivo gusto.
In questo confuso tempo latitano gli eretici, che sono credenti lucidi e delusi, meravigliosi slanci di visioni, credibili solo sul rogo, bruciati da coerenza antica, coraggiose solitudini.
Gesù è morto da eretico, mi pare.
“Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito”
Non è questione di creare alternative al mondo, cattolici disegni di presunta perfezione, lasciamo che siano le utopie a sfarinarsi nel tempo, il Vangelo chiede altro, chiede di partorire figli in un delirio d’amore.
Dare il Figlio al mondo, così dice, e quindi dentro, dentro, dentro questa notte perversa deve scorrere la lava incandescente del divino, fino all’eruzione finale, violenta luce della pace senza tramonto.
A questo mondo omicida per mano di vignaioli ormai ubriachi e stanchi bisogna continuare a darlo il nostro figlio innocente e coraggioso. Partorire senza ritegno parole, gesti, intuizioni, ribellioni, carri bestiame da macello, treni senza ritorno. Non siete stanchi anche voi di parole che non pagano con la vita il prezzo di essere pronunciate?
Senza sangue la tenerezza, la dolcezza, la resilienza e il carro delle parole moderne sono solo sbadigli di moda, trabocchetti furbi dell’unico pensiero, tradimenti del Verbo.
Imploriamo veri conservatori. Quelli capaci di un passo indietro, ancora più vicini all’Origine.
Torniamo a conservare lo stupore, torniamo a conservare il coraggio delle notti, torniamo all’incandescente, a prima della banale retorica di ogni schieramento, torniamo all’incoscienza del dono di un Padre, torniamo alla feroce fedeltà del Figlio. Torniamo a conservare l’eretico scandalo di un Dio inchiodato per amore, di questo Dio inchiodato alla nostra carme. Torniamo al Calvario. Al Sepolcro. Torniamo, risorti e pronti a morire, da capo.
Conserviamo il silenzio smarrito che sbocciò sul Calvario dove finalmente nessun angelo fermava la lama, dove nessun ariete prese il Suo posto, nessun Isacco sorridente riportato in vita. Torniamo sul Calvario, dove si impara che solo la morte svela il cuore del tempio, squarcia il velo del sacro cuore d’ogni uomo.
“perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”.
Torniamo a credere? Come chiunque non voglia morire senza essere nato. Torniamo a credere che il Vangelo salvi da noi stessi e dalla nostra mediocrità, salvi dalla confusione delle immagini, da una vita che si scolla, che si scioglie. Bisogna crederci per essere salvati, credere di essere amati, credere che siamo più di quel che mostriamo.
Tornare a credere che meritiamo di più, che possiamo di più. Credere che li possiamo reggere i pugni della vita e le lotte e i conflitti, che non si può nascere senza travaglio. Che il Vangelo sia un ruggito e un graffio, una ferita da cui si nasce e si rinasce.
Credere che si possa tornare a far parlare i poeti purché non spaccino linguaggi addomesticati.
Credere che si possa tornare a bruciare per un’eresia chiamata amore.
Credere che si continua a uccidere anche senza spargimento di sangue, è solo una morte all’apparenza più pulita, più silenziosa.
“ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio”.
Perché la condanna è nella vita che scegliamo di preservare.
Condannati a essere eterni semi sospesi, lontani dalla terra assassina e feconda.
“La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».
Solo in piena notte Nicodemo può sentir parlare di luce,
e può credere
che la Verità passi prima dalla nostalgia, trafigga
la fame, il desiderio
di scardinare albe nuove.
Solo in piena notte Nicodemo può rinascere,
perché sopravvive al fascino delle tenebre,
rimanere nascosti, impantanati nell’oblio
innati,
innati
al riparo di una luce che chiama
al rischio della terra.
Nascere è il primo passo per iniziarsi alla morte.
Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà». Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.
Non prendetemi troppo sul serio
(Giovanni 2,13-25)
Terza domenica di Quaresima anno B 2021
Per prima cosa vi chiedo di sedervi con me, se volete, dall’altra parte dei banchi, dalla parte dei venditori. Che il rischio di credere che siano sempre gli altri a dover sbaraccare è troppo alto anche per me. Sistemiamoci qui, dietro al nostro banchetto, con la mercanzia che vendiamo. Io ci metto la mia, senza vergogna, tutte le troppe parole che scrivo, tutte le pagine di questo blog, ma anche le parole dette, le telefonate, tutto, questo sono io, ecco il mio banco. In bella vista i pezzi forti, eccoli lì: accoglienza, Vangelo e corpo, fede e religione, allergia al potere, qualcosa contro il sistema, le mie cose insomma, niente di artistico, niente di imprescindibile, niente di nuovo, buon artigianato, spero. Almeno onesto.
Poi vi chiedo di guardarvi intorno, siamo tutti qui, nell’emporio del sacro, nell’ipermercato del religioso c’è posto pe tutti. C’è lo spazio dei tradizionalisti, c’è quello del nuovo monachesimo, c’è il banco dell’ecumenismo, più in là la raccolta fondi dei volontari e poi ecco i maestri del silenzio con influssi zen, quelli vicini e papa Francesco, quelli vicini a Benedetto, quelli lontani da entrambi e in fondo là il banchetto dei nostalgici delle teologie della liberazione, le scuole di parola ma anche l’angolo pellegrinaggi e apparizioni, i gruppi di base, tutti i movimenti di ogni ordine e grado… insomma ci siamo tutti e siamo tanti. Non sto a elencare basta fare un giro.
Fingiamo di mantenere le distanze, fingiamo di essere di parrocchie diverse, poi però in fondo ci siamo affezionati gli uni agli altri, e se un giorno un banco manca all’appello subito ci preoccupiamo per quel posto vuoto, in fondo il tempio, lo sappiamo, ci dà da mangiare, ci regala un minimo di identità. Ed è giusto così, ognuno ha bisogno del suo tempio. Niente di scandaloso.
Poi arriva lui, Gesù, che sapeva di trovarci qui, non era mica la prima volta che saliva a Gerusalemme e il Tempio lo frequentava, sapeva di trovarci tutti qui ma, non solo, il Cristo sapeva bene che da qui non ci saremmo mossi e non ci muoveremo mai. Dove andare? A banco ribaltato eccoci pronti a rimettere tutto in piedi, non vedi quanta gente ha bisogno del Tempio?
L’unica cosa è che Lui, Gesù, ogni tanto viene. A ribaltare tutto. Te l’ho già detto non lo fa per mandarci via per sempre, anche lui il Tempio lo viveva, non è per mandar via nessuno per sempre solo arriva e ribalta i banchi. Come fa la vita ogni tanto, ti mette in disordine quello in cui credevi. Qualcuno si arrabbia, ti confesso che anche io mi sono più volte innervosito e ancora lo faccio quando qualcuno butta al vento le mie creature ma quando mi fermo, alla sera, dopo che la vita con lo zelo di verità è passata a lasciare macerie, alla fine ringrazio. Sai perché?
Primo: per il momento in cui tutti ci troviamo a terra a raccogliere le nostre mercanzie. Tutti: tradizionalisti e progressisti, latinisti e femministe, cardinali e monaci, laici e papi, tutti, in terra come bambini a cui hanno sparpagliato il gioco. A me piace perché quella è la fotografia di chiesa che adoro. Tutti in terra a cercare, come bambini, a ricomporre la propria vetrina. Mi piace perché siamo ridicoli, perché in quel momento non ci prendiamo sul serio, perché la vita quando spazza via con la verità che solo Cristo sa portare ci mostra per quello che siamo, gente buffa. In quel momento capisci però che non tutto è uguale, perché lo so cosa stai pensando, che io sia un relativista che crede che ogni cosa sia uguale all’altra, no non è così, credo solo che sotto i banchi rovesciati delle nostre mercanzie religiose rimarrà solo la Carità. Anche questa non è farina del mio sacco. Una volta svelato che ognuno di noi vive nel Tempio e grazie al Tempio, quello che rimarrà sarà la Carità, l’Amore, il resto è mercanzia da calpestare. E sono troppo vecchio per non aver imparato che la categoria dell’Amore è trasversale a qualsiasi appartenenza, a qualsiasi sfumatura, a qualsiasi gruppo. Come quella dell’idiozia purtroppo.
Non credo sia tutto uguale, ma credo che quando il santo zelo del Messia passa, e può essere per una pandemia, per esempio, a rimanere saranno solo quelli che ridendo di se stessi, chinati a raccogliere le proprie certezze, avranno il coraggio di guardare negli occhi il fratello e di dire “in effetti stavo solo balbettando qualcosa, ne approfitto per riordinare le idee”.
Non mi piacciono per niente quelli che credono che sul loro banco ci sia tutta la verità. E mi spaventano gli invasati, i fedeli che non hanno il senso della misura.
E poi mi piace vedere i banchi rivoltati e sai perché? Perché sotto le apparenze c’è il legno levigato, per tutti, per tutti uguale. L’atto di ribaltare mette sottosopra e quindi ecco che siamo per un attimo tutti fatti dello stesso legno, quello della croce. Mi piace perché credo che non sia tutto uguale, che ci siano modi diversi e anche modi sbagliati per parlare di Cristo ma credo anche che non sono io a dover dire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, sarà la croce, che è il momento della morte. Davanti alle proposte di fede io mi chiedo solo, ma non saprò la verità fino al momento ultimo, questa cosa mi sta aiutando ad imparare a morire senza rancore? Il resto conta niente, meglio lasciarlo a terra.
Lì nel tempio ogni tanto Lui passa ed è come quando nella vita si fa disordine dentro: le cose vecchie non reggono più e le nuove fanno paura, gli affetti e le sicurezze che si erano messi al sicuro non si trovano più, non sono momenti facili, infatti all’inizio tentavo di fare la cosa che mi sembrava più giusta: mi difendevo. Trovavo delle strategie per difendere il mio banco, il banco della mia vita, della mia spiritualità, della mia sopravvivenza, dagli agenti esterni, dallo zelo profetico dell’esistenza. Inventavo modi per resistere senza cambiare, per inchiodarmi alle mie certezze ed ero anche contento quando riscontravo che dopo i grandi terremoti esistenziali io non ero cambiato poi tanto. Mi dava sicurezza. Tutto passava e io credevo come prima: niente poteva scalfirmi. Io ero sempre io. Elogio di quello che chiamavo coerenza e che poi, in verità, era solo immobilità. Paura.
Poi succede che la vita ti ammorbidisce e così la lasci fare. La vita accade e ti lasci sorprendere e scopri di essere quasi sempre in terra a dover rimettere ordine, e questo perché ti sei lasciato disordinare. Da un incontro, da una lettura, da un innamoramento, da una delusione, da un errore… qualsiasi cosa poteva mandare in aria il banco. E io a terra, a chiedermi perché. Avevo ceduto, non opponevo resistenza, così ho capito.
“Distruggete questo tempio e io lo farò risorgere”. Solo per questo, perché io sono solo di passaggio, ogni cosa è di passaggio, ogni cosa si distrugge e la vita, solo la vita che avrà amato, sarà risorta. Mi sono accorto che Gesù nel Tempio non ha mai pensato di non trovarci più solo, credo, ci ha dato il senso del limite. Ognuno fa quel che può, dice le cose che intuisce, poche, pochissime e accetta che tutto muoia e il buono risorga e così impara a farsi risorgere.
E rido, da allora, rido di me e di tante “battaglie” che credevo imprescindibili, e spero che nessuno mi prenda troppo sul serio, che chi legge senta che quello che mostro è poca cosa, qualcosa che ho intuito e che non solo è roba che morirà ma che è già morta nel momento in cui la si compra, è solo il segno della vita che muore.
Facciamoci ribaltare il banco dalla vita e cerchiamo, come bambini, di rimettere insieme i pezzi, e ridiamo una buona volta delle sicurezze e delle manie nostre e di questa nostra benedetta e amata chiesa.