Bisognava fermarlo prima

abstract-art-artificial-artistic-131634

Bisognava fermarlo prima

Certo che bisognava fermarla prima. Prima, prima, molto prima, era un volo prevedibile il suo, perfetto, chirurgico, va bene, ma prevedibile: decollo e atterraggio, va bene, senza sbavature… ma noi dove eravamo?

Fuori posto e fuori tempo. Stanchi, sorpresi, frastornati. E allora lei parte da lontano e arriva, e poi un tocco, come una carezza dolce e velenosa e lei si lascia sedurre e si ferma, proprio qui.

Non siamo ancora preoccupati, non riusciamo nemmeno a pensare, siamo lontani, troppo lontani dal punto di pericolo. Fuori area. A vederlo adesso tutti capaci ma lì, ci siamo fatti prendere controtempo.

Proviamo a recuperare, recupereremo subito, siamo in tanti, è solo un attacco, adesso poi la stagione si sta mettendo al bello, tutto ricomincia, e allora basta chiudere. Ma non chiudiamo, non in tempo e non insieme, non c’è gioco di squadra e allora lei cambia, uno scambio veloce, perdiamo le sue tracce, per un attimo, fatale, e mentre tentiamo di aggredire nel nuovo punto ferito ci accorgiamo che abbiamo aspettato troppo, che adesso lei è vicina, sembrava un attacco come gli altri, bisogna fermare, fermare e chiudere, e allora allarme, concentrati, ma lei è veloce troppo veloce e prende controtempo, noi ci siamo ancora tutti, siamo lì ma è chiaro che qualcosa sta succedendo e qualcuno lo intuisce, forse i più esperti, forse i più lucidi, sta accadendo qualcosa di inatteso, inaspettato, di surreale, in un vuoto senza senso, in un mondo che sembra altrove, nella fotografia più lucida della follia umana che non riesce a capire mai le priorità, che si accorge sempre dopo, che semplicemente non c’è, nel silenzio più assordante che io ricordi accade, accade che lo scambio va a buon fine, la traiettoria di inizio ritorna, dopo uno scambio rapido, al mittente, che ora è in zona letale, è più vicino, è noi siamo meno pronti, sempre più in ritardo, ma non è detta l’ultima parola, proviamo a chiudere la porta. Tanto lo sappiamo non può che andare a terminare la sua corsa… no, qualcosa succede, una torsione delle attese, una sfida alle leggi della scienza, solo un folle poteva aspettarselo, o i visionari, o gli artisti. Inchiniamoci al re, alla sua corona, siamo stati colpiti e affondati, non c’è più niente da fare, è il colpo definitivo. E lui corre, corre, corre…

…si avvicina, non c’è nessuno in giro, ci aspettiamo che metta la maschera, bisogna metterla la maschera, e poi tu lo fai sempre e invece no, oggi no, corre e si avvicina, corre e questa volta cerca amici, cerca un abbraccio e noi lo vediamo ed è come se corresse incontro a noi e non fa più paura. Io sono seduto sul tappeto, come quando ero piccolo, a pochi passi mio fratello, stremato da giorni di assistenza, e intanto lui ci corre incontro e lo sappiamo perché sta correndo verso di noi, perché papà è qui, sulla sua poltrona, davanti alla tele come sempre quando gioca la nostra Juve. Ma oggi è un giorno speciale, strano, è riuscito a lasciare per poche ore il letto e anche se non abbiamo voglia, che andava fermato tutto, che tutto era già fermo, alla fine ci siamo alzati in piedi e abbiamo pure esultato, e la maschera questa volta la mettiamo noi Paulo, quella mascherina che purtroppo abbiamo imparato a indossare quotidianamente, la mettiamo noi, a ricordare il tuo caratteristico modo di esultare, perché il tuo è uno di quei gol assurdi in uno stadio assurdo per un popolo assurdo che non sa più riconoscere le priorità, ma proprio per questo noi assurdamente abbiamo esultato, perché quella traiettoria velenosa non era la descrizione di un virus ma di un gol, un gol per un pubblico spaventato e assente, quel gol vogliamo vederlo come un richiamo. Forse una piccola profezia di speranza. Un gesto di atletica bellezza, come un dipinto chiuso in un museo, in attesa che si aprano le porte, ancora, in attesa che si possa ricominciare l’infantile e tenero gioco della vita. Nella vita che tutto possa ancora ripartire, per provare a immaginare visionarie traiettorie di vita.

Lo so che il campionato andava fermato, che non c’era senso, che nessuno aveva voglia, che a volte lo spettacolo non deve continuare. Però mentre scrivo mio padre, quello che ha esultato a fatica per il tuo gol caro Paulo Dybala, adesso è in ospedale e sta lottando con un fiato che non vuole tornare. E noi siamo qui, in quarantena, a sperare in un colpo di genio, in un improvviso scarto della vita, siamo qui ad aspettare ciò che fino a poche ore fa sembrava impossibile. Perché dopo il tuo gol papà è peggiorato e il ricovero è stato urgente e impossibile da rimandare. E noi siamo qui, vicini a quella poltrona, in attesa come te, Paulo, di lasciare finalmente la maschera per lanciarci in un abbraccio senza fine.

https://video.sky.it/sport/calcio/serie-a/video-juventus-inter-gol-dybala/v580748.vid