crocetta panoramica 2

Andrò (prete in altro modo e in altro luogo)

(Geremia 17, 1 Cor 15, Luca 6)

VI Tempo Ordinario anno C

 

Benedetto l’uomo che confida nel Signore

“Benedetto l’uomo che confida nel Signore” cosa significa davvero questa frase di Geremia? Me lo sono chiesto molte volte in questi ultimi mesi. Non ho risposta. O forse la risposta è proprio in quel bisogno di mettermi in ricerca di una risposta, bisogno che è tornato prepotentemente a scorrermi nelle vene. “Cosa significa confidare nel Signore?”

Non sarà una omelia ordinaria questa, avete già capito, non è ancora stata pubblicata in Facebook e io la sto leggendo… chissà forse non è questo il momento esatto della liturgia in cui dovrei dare certe notizie, forse è troppo presto e come mi è stato consigliato sarebbe stato meglio tenere il segreto, non lo so, forse avete davvero tutti ragione e io mi scuso se occuperò in modo eccessivamente personale questo spazio delle messe di oggi e domani ma io qui mi sento al sicuro, mi sento a casa, qui, nello spazio della condivisione della Parola, sento che ci siamo davvero trovati voi ed io, ed è stato bellissimo. Ci siamo capiti, ci siamo compresi, perché il Dio della Parola ci abbracciava. E allora è solo da qui che posso salutarvi sperando ancora di essere compreso. Sì, perché parto. Non subito, ma da settembre le nostre strade si divideranno. Non sarò più parroco di Arcene, in verità non sarò proprio più parroco: andrò a essere prete in altro luogo e in altro modo.

Benedetto l’uomo che confida nel Signore” non so cosa vuol dire davvero confidare in Lui, forse significa mettersi e stare in atteggiamento di profondo ascolto, e io quello credo di averlo sempre fatto. Con tanta paura, anche. Con il timore di non capire e con la ferocia di chi non si sentiva mai pronto per accogliere l’Immenso che lo circondava.  Ascolto della realtà, ascolto di una storia, quella di questi ultimi anni caratterizzata da grandi entusiasmi, da inevitabili e giuste delusioni, da grandi amori, da grandi incontri… da tanta vita. E vi ringrazio di cuore. Non credo di aver fatto tutto nel modo giusto (ma esiste un modo giusto?), so che vi ho amato tanto, so che per provare ad amarvi fino in fondo ho anche provato a cambiare molto di me. Se ci sono riuscito non lo so ma ci ho provato. E mi sono sentito amato, davvero oltre misura.

Grazie perché tanti di voi si sono fidati di me, alcuni di voi si sono fidati anche dopo che hanno scoperto che Alessandro era un uomo con tante fragilità. E questi sono per mi i miracoli veri della vita.

“Confidare nel Signore”, come dice Geremia, forse è riconoscere che un cuore che si sforza di ascoltare la vita non può far finta di niente. A me è sembrato di vedere, in questi ultimi mesi in modo sempre più chiaro, che la vita stava maturando l’urgenza di un gesto nuovo, di coraggio, di fiducia. Di amore.

Ho un po’ paura ma ho anche una gran voglia di rimettermi in gioco. Non sarò più parroco, ringrazio ognuno di voi per l’affetto e la pazienza di questi anni ma ora andrò ad abitare in una casa, vicino a un eremo, in montagna, in un luogo che è un po’ Toscana, un po’ Liguria e un po’ Emilia Romagna, luogo misterioso, di confine, la Lunigiana.

La frazione dove abiterò è piccolissima, mi è parso di capire che in inverno saremo in tre persone ad abitarci. Una frazione che fa parte di un comune più grande e quindi con più parrocchie piccole disseminate su un territorio vasto. Io lì avrò tempo per la preghiera e la riflessione e se potrò darò una mano al parroco, sarò a disposizione per la predicazione, per chi mi chiamerà, magari con il tempo penserò anche all’accoglienza di qualcuno che ha bisogno di silenzio e di condivisione della Parola. Non so molto di più, sarà quel che sarà, mi affido davvero. Non voglio nemmeno caricare di troppa enfasi questa scelta, magari non reggerò la solitudine o scoprirò che non è la mia strada, non so. Vi terrò in aggiornamento.

Per ora c’è una casa che pagherò poco alla volta con un mutuo. C’è la possibilità di un santuario splendido. Ci sono due vescovi, Francesco di Bergamo e Giovanni di Massa Carrara-Pontremoli, che mi sono stati padri e non solo hanno accolto la mia richiesta ma hanno contribuito a darle una prima forma. Con tanta fiducia nei miei confronti. Con tanto coraggio. Li ringrazio di cuore.

 

È come un albero piantato lungo un corso d’acqua, verso la corrente stende le radici.

“È come un albero piantato lungo un corso d’acqua, verso la corrente stende le radici” la casa dove abiterò è immersa in un bosco, castagni. Quando ho visto quella cosa mi sono sentito chiamato. E riconosciuto. Il santuario, a due passi dalla casa, è lì almeno dal XII secolo, monaci benedettini, ci abitava fino a pochi anni fa una suora eremita. Nell’aria, vi assicuro, è ancora presente il profumo di uomini e donne che hanno vissuto nella ricerca del Dio del Respiro Silenzioso.

Siamo radici, radici in cerca di acqua. Quell’acqua che permette all’albero di sfidare la forza di gravità ed immergersi nel Vento.

Mi sono sentito chiamato da quel posto, un pezzo di mondo che ha visto tante persone andarsene in cerca di lavoro, se riuscirò mi piacerebbe dedicare la mia vita a tenere abitato il più possibile un pezzo di mondo abbandonato. Lo sento molto più vicino alle mie corde. Nel silenzio, senza ruoli istituzionali, nel nascondimento, fedele solo a una Parola che non mi stancherò mai di far vibrare in me. Mi sembra molto più vicino a quello che sono, al “desiderio fondamentale” come direbbe il padre gesuita che mi sta accompagnando. Alla “chiamata vocazionale” come dice un amico prete a cui sono legatissimo che sta camminando al mio fianco da tanti anni.

Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini.

Paolo nella seconda lettura di oggi ha il coraggio di strappare i veli a ciò che sembra finito per aprirli all’Infinito. Occhi che credono che tutto sia limitato nello spazio del visibile non possono vedere la Resurrezione. Occhi che non credono all’Invisibile sono da commiserare. Vi chiedo di guardare con me qualcosa che ancora non possiamo vedere. Vi auguro di guardare con me all’Invisibile che già ci abita. Noi siamo chiamati a rendere visibile l’Invisibile, a rendere visibile la speranza, la compassione, la gioia, la fiducia… l’Amore. Voi mi avete aiutato a vederlo l’Invisibile. E non lo dico con retorica, mi avete aiutato a vedere ciò che mi era Invisibile. Sono arrivato che ero un ragazzino convinto di sapere come doveva essere una parrocchia e come si faceva a “fare il prete”. Mi avete mostrato ciò che non vedevo di me, ciò che non volevo vedere, ciò che non sapevo di essere. Mi avete mostrato parti di me che ho scoperto con stupore e gratitudine e altre che mi ha fatto male riconoscere. Sono stati anni di forte impatto con la Verità. Di questo vi sarò grato per sempre. Ora sento di essere più me stesso. Grazie anche a voi.

Non è una fuga la mia, è evidente. Con il Vescovo abbiamo preso in esame molte possibilità rispetto ai tempi, non c’è fretta ma tutto sembra ormai maturo. Non è immagine molto originale ma sento che è l’attimo esatto in cui il frutto si stacca dal ramo. Attimo improvviso eppure preparato da un lento scorrere delle stagioni. Perché proprio adesso? Perché non prima? Perché non tra qualche mese? Non lo so, ma in questi ultimi tempi il frutto si è staccato. E non si torna indietro.

Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli

 Gesù nel vangelo è in un luogo pianeggiante, intorno a lui tanta gente, Lui alza gli occhi. È già miracolo sentite? Discepolo è chi si sente guardato negli occhi. Chi si sente guardato e amato per quello che è.

Nei mesi che ci rimangono da vivere insieme alleniamoci ancora più a guardarci negli occhi, ad amarci per quello che siamo, a vedere che ognuno di noi è mistero bellissimo e irriducibile a qualsiasi definizione.

E amiamoci perché siamo poveri. Sempre affamati e bisognosi. Nessun amore, per fortuna, riempirà mai questa fame. Continuiamo ad essere affamati, innamorati, curiosi, aperti alla vita.

Guardiamoci negli occhi e sentiamoci beati se ci verrà da piangere, perché chi piange è vivo, perché chi ama piange, perché chi ha cuore che pulsa d’amore sa bene cosa è la nostalgia.

Beati noi quando i nostri occhi si inumidiscono, beati noi se abbiamo paura del domani, di restare soli, di sbagliare.

Beati noi se avremo il coraggio di piangere. E che belli saremo quando ci innamoreremo così tanto di qualcuno che sapremo perfino piangere tra le sue braccia. Credo di possa fare l’amore con le lacrime!

Beati noi se sapremo essere segno di contraddizione, beati noi se accetteremo che non tutto si possa capire, beati noi se quando ci diranno che abbiamo tradito le aspettative perché solo tradendo le attese si possono uccidere le pretese, solo chi tradisce le attese può aprire, umilmente, l’Inedito.